Pmi e reporting di sostenibilità, c’è chi dà il buon esempio: il caso CADF
L’utility idrica del basso ferrarese pubblica un Report Integrato redatto secondo più standard internazionali
Sono ancora poche le Pmi che rendicontano le informazioni ESG. I motivi sono numerosi: mancanza di risorse, poca consapevolezza della centralità del tema, scarsa diffusione di professionalità specifiche. Nonostante il ritardo, ci sono però alcune imprese medio-piccole che fanno da apripista. Una di queste è CADF La Fabbrica dell’Acqua, utility che si occupa della gestione del servizio idrico integrato (quindi acquedotto, depurazione e fognatura) nel territorio del basso ferrarese. Per CADF, rendicontare la sostenibilità è stato un processo che si è evoluto nel tempo e che ha portato la società a pubblicare un Report Integrato particolarmente esteso e comprensivo, redatto secondo più standard internazionali e aderente ai requisiti della Dichiarazione Non Finanziaria. Abbiamo approfondito questa esperienza ricchissima con Franco Filippi, componente del team controllo di gestione di CADF che ha preso parte alla redazione del Report Integrato.
CADF, un percorso di reporting di sostenibilità che parte dal 2010
L’utility idrica serve un territorio di circa 1.300 km quadrati, in cui ci sono circa 100.000 residenti durante l’anno, che raddoppiano nel periodo estivo. L’azienda ha 150 dipendenti e un fatturato vicino ai 34 milioni di euro che la classifica a pieno titolo come Pmi. «Il nostro percorso di sostenibilità è cominciato nel 2010 quando sono stati pubblicati i primi bilanci sociali, che sono diventati bilanci socio-ambientali nel 2015» racconta Filippi. «Confrontandoci con questi nuovi tipi di rendicontazione, abbiamo subito compreso che il classico bilancio economico di esercizio stava un po’ stretto alle aziende come la nostra, imprese che hanno un forte rapporto con il territorio e un legame significativo con il capitale naturale e sociale, visto anche il contenuto valoriale del servizio che viene erogato.»
Nel 2019 si fa un ulteriore passo avanti pubblicando il primo Report Integrato. «La nostra realtà si sposa bene con il modello dell’IIRC (International Integrated Reporting Council), che propone un framework composto da 6 capitali che ci permette di integrare bene anche le risorse intangibili.» Non solo, quindi, i dati relativi ai criteri ESG, ma anche la rendicontazione di beni intangibili come il capitale organizzativo, relazionale, umano.
Un report di sostenibilità, tanti standard diversi
Il Report Integrato di CADF ha un’applicazione particolarmente ricca di standard e criteri di rendicontazione internazionali. «Nel 2019, al framework IIRC abbiamo voluto affiancare gli standard Sasb che, essendo settoriali, sono quasi sovrapponibili a quelli adottati dall’autorità di regolazione ARERA» spiega Filippi. «Poi abbiamo voluto valorizzare il discorso delle risorse intangibili prendendo come linee guida il framework del World Intellectual Capital Initiative.»
Ma il team di lavoro di CADF non si è fermato qui: nel 2020 sono stati aggiunti nuovi modelli di riferimento. «Oltre agli standard GRI (Global Reporting Initiative) generali per tutte le imprese, abbiamo inserito anche quelli ambientali più rilevanti per noi sull’energia, l’acqua, gli scarichi idrici e i rifiuti. E inoltre, abbiamo adottato su base volontaria la Dichiarazione Non Finanziaria. Per essere coerenti con le sue indicazioni ci è bastato integrare nel Report solo alcune tematiche, fra le quali quelle riguardanti le emissioni di gas in atmosfera.»
Perché fare tutto questo lavoro?
Dopo aver ascoltato l’esperienza di reporting di CADF, il primo pensiero va alla mole di lavoro e all’impegno che questa esperienza ha richiesto a tutta l’azienda. «È stato fondamentale affiancarci a un advisor di alto profilo, perché solo con le forze “interne” dell’azienda un percorso di questo tipo sarebbe stato impraticabile» continua Filippi, che ha vissuto l’esperienza in prima persona. «È stato creato un team interfunzionale, composto dai responsabili aziendali e guidato dai dirigenti. La fase di raccolta dati non è stata difficoltosa perché eravamo già ben strutturati. Tuttavia, abbiamo dovuto integrare i dati con alcune indagini per spiegare meglio il capitale relazionale dell’azienda. Alla fine, è stato indispensabile un passaggio di fine tuning per cercare di rendere tutto coerente.»
Arriviamo così al vero nocciolo della questione: cosa ha portato questo lavoro? Che vantaggio ha avuto l’azienda dal reporting di sostenibilità?
«Per noi, il reporting di sostenibilità è stato uno strumento utile che favorisce lo sviluppo sostenibile dell’impresa in una prospettiva più olistica e che dà coerenza a tutti i dati aziendali. Migliora la coesione dell’organizzazione e del management e favorisce la condivisione degli obiettivi. Con il processo di reporting le diverse aree funzionali condividono in maniera concreta ed efficace mission e vision. Sembra banale e scontato, ma non lo è.»
Ultima nota (non troppo) a margine: l’importanza di comunicare con l’esterno
Non da ultimo, il report di sostenibilità permette di aprire un dialogo trasparente e fruttuoso con gli stakeholder. «Capita spesso alle public utilities di essere valutate solo in base alla tariffa. Se il servizio costa poco sei bravo, se costa tanto non sei bravo. In realtà non è proprio così. La nostra realtà è complicata, soprattutto a livello di regole e norme: rendere comprensibile questa complessità a tutti, non solo ai tecnici, è un obiettivo importante.»
Il report di sostenibilità deve poter essere compreso dal commissario di Arera, dal tecnico, dal professore universitario, dall’imprenditore, dal cittadino. «Anche da chi non si occupa per niente di sostenibilità» sottolinea Filippi.
Avvicinare le Pmi ai temi della sostenibilità
L’esperienza di CADF evidenzia bene quanto il reporting di sostenibilità possa essere uno strumento chiave per lo sviluppo delle Pmi. Ma come diffondere questa consapevolezza? «Il lavoro di divulgazione è fondamentale. In parte per convincere gli indecisi che le tematiche socio-ambientali hanno riflessi concreti. I bilanci di sostenibilità non sono delle vetrine per dimostrare di essere green e basta, ma sono strumenti che hanno impatti tangibili sul business» ci dice Filippi.
«Si pensi per esempio alle possibilità di accesso al credito o alla capacità di attrarre gli investitori. Inoltre, le Pmi devono aumentare la consapevolezza rispetto alle loro risorse intangibili, che sono strettamente interconnesse con le tematiche socio-ambientali. Pensiamo alla reputazione e all’immagine aziendale. Ci vuole molto tempo per costruirle ma basta un attimo per distruggerle e vanificare il lavoro fatto. Tutti questi elementi non hanno una misurazione monetaria immediata, non trovano spazio nei bilanci di esercizio, però possono essere messi in luce all’interno del report integrato ed essere valorizzate dal processo di reporting.»
Insomma, non è solo questione di etica, ma anche di business. E CADF insegna. Chapeau.