Vignaioli vs crisi climatica: intervista a Gianluca Morino di Cascina Garitina
Crisi climatica: come sta già impattando le nostre vite? Spesso questo fenomeno è ancora vissuto come un qualcosa di lontano, nel tempo e nello spazio. Eppure i segnali e le conseguenze sono già qui. In tanti settori. Gianluca Morino di Cascina Garitina, vignaiolo da trent’anni molto attivo nella divulgazione sui social, ci racconta come la crisi climatica si stia già manifestando nel campo vitivinicolo, sottolineando come il fenomeno sia ancora sottovalutato da parte del settore stesso, delle istituzioni e delle persone e auspicando un salto di qualità nella sua comunicazione, centrale per far percepire l’urgenza del cambiamento e la necessità di adattarsi a un contesto sempre più difficile e mutevole.
Qui sopra la video-intervista integrale.
Cambiamenti e nuove ere climatiche
Gianluca Morino è un vignaiolo, appartenente alla Fivi (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), produttore di Nizza DOCG. Per 9 anni è stato Presidente dell’Associazione Produttori del Nizza. La sua formazione da enologo parte da Alba e lo porta, dopo un breve esperienza in una azienda spumantistica canellese, a condurre a 22 anni l’azienda di famiglia: Cascina Garitina.
“Era il 1992 e, come dico sempre, si trattava di un’altra era climatica. In trent’anni è cambiato completamente tutto”. Come è sua abitudine, Gianluca va dritto al punto. Lo fa anche sui social (sul suo profilo personale @gianlucamorino, sulla pagina della sua azienda @cascinagaritina e anche su @vitadaviticoltore) dove insiste e fa divulgazione sugli effetti della crisi climatica. Diretti e indiretti: parla dei cambiamenti nella natura, nelle colture, nei prodotti finali, ma anche di come si stanno modificando (o almeno dovrebbero) i metodi di lavoro del settore.
Cosa significa per un vignaiolo affrontare oggi la crisi climatica? Quali sono gli impatti tangibili già oggi?
“Domanda importantissima. Sul web racconto la vita del vignaiolo e del viticoltore: la crisi climatica è il problema più grosso che dobbiamo affrontare di questi tempi. Tornando al già citato 1992, da allora ad adesso il clima è cambiato radicalmente. E ancora sta cambiando con impatti diretti sul nostro lavoro, sull’approccio al vigneto e anche rispetto a tutti i ragionamenti relativi alla trasformazione del vino. Ho iniziato a parlare di questo tema in maniera più diffusa, soprattutto su un account, perché voglio sensibilizzare le persone. Sono convinto che nel mio settore non se ne parli ancora abbastanza. E quando decideremo di fare qualcosa sarà davvero troppo tardi perché certe decisioni, soprattutto in ambiti come il mio, vanno prese in maniera tempestiva. L’impatto più significativo adesso, oltre al rialzo delle temperature medie, è il fatto che manca l’acqua. Le piogge si sono ridotte drasticamente, soprattutto nell’area in cui opero (ndr, parte sud del Piemonte). Così dobbiamo fronteggiare maggiore aridità, maggiori temperature e ci troviamo obbligati a ragionare con una scarsità enorme di acqua.”
La siccità: non proprio una novità dell’ultima ora
Alcuni esempi concreti di cosa significhi fronteggiare la siccità, con relativi video-prova dagli account di Gianluca. Le prove di irrigazione di soccorso sul campo, accompagnate dal commento: In pochissimi anni sarà una pratica abituale a patto di avere l’acqua. Oppure il video che racconta il meccanismo che le viti mettono in atto per difendersi dalla combo siccità/ temperature alte, riducendo naturalmente il carico da portare a maturazione attraverso una colatura tardiva. Anche qui una riflessione a chiosa: mai visto in 30 anni di attività. La pianta cerca di proteggersi. Quest’anno, con le previsioni che ci sono, sarà anche il caso di parlare di sopravvivenza delle piante.
Il tema della siccità è letteralmente scoppiato nell’ultimo periodo, finendo in cima alla scala della notiziabilità, ma il fenomeno è qui da prima, non si è materializzato dal nulla da un giorno all’altro. “Le prime avvisaglie ci sono state nel 2003, poi c’è stato il 2007, il 2011 e per finire le ultime due, tre annate. Il problema grosso di quest’anno per il Piemonte è che mancano tutte le precipitazioni autunnali e soprattutto quelle invernali, sia sulle montagne che a bassa quota. Se da noi nevica in inverno, risolviamo gran parte dei nostri problemi: senza la neve non riusciamo a rifornire le falde, per cui i vigneti e le colture vanno in crisi”.
Il punto è chiaro: l’azione, o forse è meglio dire la reazione, a questi cambiamenti deve essere rapida.
Ma quali sono le azioni da mettere in campo nel settore vitivinicolo di fronte al fenomeno della crisi climatica? “Contrastare il cambiamento climatico è impossibile, perché è un cambiamento troppo più forte e grande di noi. Adattarsi o difendersi invece è possibile. Soprattutto cercando di conservare la poca acqua che arriva in certe fasi dell’anno, come l’acqua piovana, l’acqua di scorrimento. Servono dei progetti a livello regionale o provinciale – non certo di un singolo – di accumulo di acqua che poi possa essere messa a disposizione degli agricoltori. Ma anche per altri contesti. Tra un po’ di giorni magari l’opinione pubblica sarà sensibilizzata perché potrebbe capitare che dai rubinetti non esca più acqua nemmeno per farsi la doccia o la pasta. Finché il problema è solo di una piccola frazione della società italiana, come gli agricoltori, rimane marginale. Quando si vanno a toccare le abitudini di tutti o dei più allora il problema diventa di gestione pubblica“.
Se si va a fondo ogni settore ha i suoi limiti e le sue criticità, soprattutto per quanto riguarda le misure di adattamento alla crisi climatica. “Faccio un esempio per l’ambito vitivinicolo. All’interno dei nostri disciplinari ci sono normative che regolano l’allevamento della vite, come può essere piantato un vigneto, quali tecniche, quali lavorazioni. Un caso concreto: se io volessi piantare un vigneto ad alberello, che è una forma di allevamento tipica del sud di Italia o anche delle zone dell’Africa, non potrei perché non è previsto nel disciplinare di produzione della singola DOCG. Per modificare questo disciplinare, soprattutto qui in Piemonte dove siamo sabaudi (ndr: sorriso amaro), ci impiegheremo circa una generazione, 25/30 anni. E a quel punto sarà tardissimo. Uno dei tanti problemi pratici che ci troviamo ad affrontare.”
Una questione di sistema
Cosa significa questo? Che l’azione del singolo può arrivare fino a un certo punto: la risposta deve venire dal sistema. “A livello di sistema, il problema più grande è che non si parla di crisi climatica e delle conseguenze dirette che ha sul quotidiano. Soprattutto a livello amministrativo. Questo succede perché da una parte ci sono persone non preparate: la crisi climatica è un evento nuovo che richiede aggiornamento e competenze. Dall’altra parte non c’è proprio discussione. Prima che l’argomento arrivi su certi tavoli, temo che passeranno tanti anni. Così perderemo tante colture, come si è perso tanto mais quest’anno. E tanta biodiversità.”
Un altro esempio, prontamente riportato nelle stories Instagram di Gianluca. Le api e le vespe in questo periodo stanno divorando le pesche di vigna della sua azienda, perché non hanno disponibilità di acqua. Invece di andare a prendere acqua e zuccheri dai fiori, che non ci sono perché è tutto secco, ricorrono alla frutta. “Una cosa che non avevo mai visto.”
Crisi climatica, questa sconosciuta
Insomma, le cose accadono, i cambiamenti stravolgono il modo di produrre e coltivare, eppure langue una risposta alla crisi climatica. Non se ne parla abbastanza, dice Gianluca. Un problema di percezione? Una mancanza comunicativa?
“A livello di comunicazione globale mancano proprio i contenuti più importanti. Nel nostro settore, all’interno del ristretto mondo del web, se ne sta iniziando a parlare adesso. Significa che tutte queste informazioni saranno pubbliche e diffuse tra 4, 5, 6, 10 anni. Manca una divulgazione più popolare del problema, che permetta a tutti di rendersi conto di quali siano le criticità a cui la crisi climatica ci impone di rispondere e di quali azioni abbiamo bisogno. Come cercare di risparmiare acqua, oppure sollecitare gli amministratori ad aggiornare le loro politiche. Mi ricordo che tanti anni fa si era parlato di creare degli invasi nel saluzzese o nella mia zona, poi la proposta fu bocciata, soprattutto dai Verdi, perché questa soluzione avrebbe alterato leggermente la microfauna e il microclima di quelle zone. Però, adesso, tornare su quella proposta è assolutamente necessario. Altrimenti non riusciremo più a coltivare le nostre colline. È proprio questo il fulcro di tutto: al di là della vigna, del frumento e altro, l’importante è coltivarle per cercare di preservarle e anche per evitare problemi di gestione del territorio più grandi (pensiamo alle alluvioni). È fondamentale che la campagna sia coltivata e regolamentata da noi agricoltori“.
Il nodo della comunicazione
Spiegare cosa sta succedendo, diffondere cultura sui cambiamenti in atto, far toccare con mano cosa significa convivere con le conseguenze della crisi climatica è centrale per risvegliare l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni. “Per me è anche una passione. La mia azienda è storica ma mi sono fatto conoscere attraverso la comunicazione e i social. Cascina Garitina è stata tra le prime realtà a percorrere questa strada. Instagram, il social che uso di più, è un mezzo pazzesco se viene utilizzato in modo strategico e consapevole. Mi consente di fare un lavoro di precisione, attraverso la selezione dei giusti hashtag e contenitori, e di andare a colpire le persone a cui voglio arrivare.”
Comunicare significa mettere in comune, condividere, confrontarsi, ma soprattutto farsi capire. La comunicazione della sostenibilità, come quella legata alla crisi climatica, deve confrontarsi con tematiche spesso complesse, ostiche, che vanno sciolte e rese accessibili. Perché alla fine riguardano tutte e tutti. Per questo l’impegno di chi, come Gianluca Morino, si attiva per far conoscere il fenomeno e sollecitare un intervento e un’azione (individuale ma soprattutto sistemica) è davvero prezioso: la comunicazione permette di costruire ponti verso il futuro. Un futuro, auspicabilmente, più consapevole.