AI, noi e la macchina

8 Apr, 2025 | Analisi e commenti

AI e umano

Noi e l’altro, la macchina e l’umano. E se fossero la stessa cosa? Se questa domanda non fosse altro che retorica? Nel dibattito sulle intelligenze artificiali generative, spesso si cade in una dicotomia ingannevole: da un lato, la macchina come entità separata, dotata di volontà e intenzioni; dall’altro, l’essere umano, che la osserva con fascinazione o timore. Ma questa contrapposizione è una fallacia. Le intelligenze artificiali generative non sono altro che il riflesso dei dati che forniamo loro, dei modelli che costruiamo, delle logiche che decidiamo di applicare.

Articolo di Micol Burighel e Sergio Vazzoler uscito originariamente sul Magazine Le prime 100 aziende de Il Monferrato venerdì 28 marzo 2025. 

La fallacia del confronto tra intelligenza artificiale e umana

Le intelligenze artificiali generative – da ChatGPT a MidJourney, da ElevenLabs a HeyGen – sono strumenti sofisticati, ma non magici. Analizzano enormi quantità di dati, individuano schemi, producono testi, immagini, suoni e video. Non si tratta di un atto creativo nel senso umano del termine, ma del risultato di complessi modelli computazionali e probabilistici. Eppure, continuiamo a umanizzarle: diciamo che “mentono”, che “ingannano”, che “pensano”.

Quando un modello linguistico restituisce un contenuto errato o parziale, non è perché ha una coscienza propria, ma perché riflette i dati con cui è stato addestrato. E quei dati siamo noi: con le nostre distorsioni, i nostri pregiudizi, i nostri limiti. Dare la colpa alla macchina è un modo comodo per non interrogarci sulle responsabilità di chi progetta, regola e utilizza questi strumenti.

Governare l’innovazione, non subirla

Governare l’innovazione significa prima di tutto essere consapevoli. E lo siamo ancora poco, intanto perché a livello normativo i legislatori hanno messo pochi vincoli – per il momento – a chi produce le intelligenze artificiali. Come funzionano? Come vengono addestrate? Non sapere questi aspetti non è positivo. Poi c’è il tema dei loro impatti: per esempio, c’è ancora poca consapevolezza degli effetti di queste tecnologie sull’ambiente. Un impatto che è tutt’altro che trascurabile: l’addestramento di un solo modello di intelligenza artificiale generativa come GPT-4 consuma una quantità di energia sufficiente a coprire il fabbisogno annuo di 5.000 famiglie americane (report Capgemini).

Un altro nodo cruciale è il tema dei bias e delle discriminazioni. Come ha sottolineato la professoressa Elita Schillaci del Centro Studi Avanzato Innovazione Leadership Health Management (ILHM), il gender gap nel settore tecnologico rischia di ampliarsi con l’intelligenza artificiale. Oggi ci sono 235 milioni di donne in meno rispetto agli uomini con accesso a Internet, per non parlare dello squilibrio che ancora c’è nelle materie STEM e quindi della scarsa presenza di donne che si occupano di programmazione. Cosa accade quando gli algoritmi vengono addestrati su dati così sbilanciati e da parte di una popolazione così omogenea? Il rischio è che la tecnologia non solo rifletta, ma amplifichi disuguaglianze che già esistono. Serve un approccio radicale e inclusivo, che metta al centro l’essere umano in tutta la sua complessità e nelle sue differenze.

Ritrovare l’umano: oltre l’efficienza, verso la sostenibilità

L’intelligenza artificiale sta cambiando il nostro modo di lavorare, informarci e interagire. Ma la vera domanda non è se ci sostituirà, bensì come decideremo di usarla. Se impariamo a governarla, possiamo trasformarla in un’alleata per liberare tempo ed energie da attività delegabili, concentrandoci su ciò che è veramente insostituibile: pensiero critico, creatività, strategia, relazioni, cura.

Siamo ossessionati dall’efficienza, ma la vera sfida non è solo produrre di più, bensì vivere meglio. Nel saggio Ritrovare l’umano. Perché non c’è sostenibilità senza Health, Human and Happiness, Massimo Lapucci e Stefano Lucchini propongono un ripensamento del concetto stesso di sostenibilità, aggiungendo una H all’acronimo ESG che riunisce i criteri ambientali, sociali e di governance: Human, l’umano. Perché la tecnologia, se non è al servizio del benessere collettivo, rischia di diventare solo un acceleratore di squilibri.

Ma cosa significa davvero essere umani? Significa essere fallibili e saperlo. Significa riconoscere che non tutto può essere demandato a una macchina. Immaginare, creare, riflettere, contestualizzare, unire fili e tessere trame sono capacità che nessuna intelligenza artificiale generativa potrà mai replicare. Il vero rischio non è che diventino “troppo umane”, ma che ci portino a dimenticare cosa significa esserlo.

 

Micol Burighel

Sergio Vazzoler