Immaginiamo di acquistare il nuovo album di uno dei nostri artisti preferiti e di scoprire, ascoltando le canzoni, che il musicista che amiamo ce l’ha con noi, proprio con noi. Cosa facciamo? Come reagiamo? I dirigenti della Monsanto, la multinazionale che si autodefinisce “a sustainable agricolture company”, hanno scoperto che, nel testo di un brano uscito da poco, Neil Young canta: «Family seeds they used to save were gifts from God, not Monsanto, Monsanto / Their own child grows ill near the poisoned crops / While they work on, they can’t find an easy way to stop, Monsanto, Monsanto».
Nel corso della sua lunga carriera, il songwriter di origine canadese Neil Percival Young, settant’anni quest’anno, ha influenzato generazioni di musicisti e costruito una solida fama di irresistibile borbottone. Con le questioni politiche e sociali ci è andato a nozze fin dal 1970, anno in cui scrisse “Ohio”, vibrante accusa all’allora presidente statunitense Richard Nixon, al governo e ai soldati americani (i fatti: il 4 maggio 1970, presso la Kent State University, alcuni militari in stato confusionale “a causa delle maschere anti-gas” aprirono il fuoco su un gruppo di studenti che manifestava, uccidendone quattro e ferendone gravemente altri nove). Negli ultimi anni Young ha spostato il tiro. Si è opposto con ardore a non poche multinazionali, chiamandole per nome e cognome e accusandole senza tanti giri di parole di distruggere il nostro pianeta, fare profitti fregandosene degli individui e di mettere a repentaglio le nostre vite di cittadini e lavoratori. Il trentaseiesimo disco di Neil Young, pubblicato questa estate, dall’esplicativo titolo “The Monsanto Years“, se la prende anche con Chevron, Walmart e Starbucks. Non è un invito alla lotta, piuttosto il grido di chi sente di non avere forza sufficiente per contrastare il volere dei potenti.
Incuriosito dalle reazione dei diretti interessati, il magazine americano Billboard ha chiesto ai portavoce delle aziende citate: “Cosa ne pensate?”. Chevron ha scelto di rispondere con il silenzio. Probabilmente il suo PR Department ha consigliato di lasciar perdere: “con artisti e idoli delle folle mai polemizzare” è un suggerimento che si è sentito mille volte con l’obiettivo (minimo) di non alimentare il fuoco della polemica. Ignorare quelli che parlano (male) di te è un modello di condotta ancora attuale? Qualche dubbio c’è. Walmart, attaccata sullo sfruttamento del personale, ha scelto di puntualizzare un po’ stizzita: “Tutti sanno che abbiamo innalzato gli stipendi minimi dei nostri dipendenti a 9 dollari l’ora”. Non un figurone, si potrebbe dire. Starbucks ha contrapposto una risposta pilatesca. “Sulla questione degli OGM non abbiamo preso posizione. Siamo un’azienda con negozi e prodotti presenti ovunque, pertanto preferiamo che a risolvere la situazione pensino le autorità competenti”. Questo è un atteggiamento accettabile nel 2015? Pensiamo di no. Come può un gigante economico come Starbucks non prendere posizione su una questione così rilevante? Il tempo di “noi facciamo business e tutto il resto non ci interessa” è tramontato da anni e l’irresponsabilità sociale non è più scusabile. Ha il pregio della chiarezza la posizione della Monsanto: “Molti di noi alla Monsanto sono fan di Neil Young. Purtroppo il suo album non riflette ciò in cui crediamo e quanto facciamo per rendere l’agricoltura davvero sostenibile. Ci rendiamo conto che c’è disinformazione in merito alla Monsanto e buona parte della cattiva informazione su di noi è presente nei recenti testi scritti da Young”.
Neil Young ha tutto il diritto e l’autorevolezza per esprimere le proprie considerazioni in forma cantata. Chi viene chiamato in causa dovrebbe mostrare una duplice capacità: ascoltare chi critica e aver qualcosa di sensato (e provato) da dire in risposta. Così facendo magari, un giorno, potrebbe sentirsi dedicare serenamente da un attempato ma iper-arzillo ribelle come Young versi più morbidi e speranzosi come “Comes a time when you settle down / Comes a light feelin’s liftin’”.
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