Carbone, gas naturale, rinnovabili: dove vuole andare il Paese in termini di energia?
Tra l’indecisione della politica, l’emergenza guerra e i veti sempre più diffusi, le rinnovabili non decollano. Investire sulla comunicazione diventa decisivo
Qual è la reale strategia energetica nazionale? In questi giorni di crescente tensione, di fronte a una situazione internazionale tesa e stravolta dall’invasione russa dell’Ucraina, farsi questa domanda è più legittimo che mai. E da questa a cascata se ne generano molte altre. L’Italia rischia di rimanere senza gas a causa della guerra tra Ucraina e Russia? Dovremo riaprire alcune centrali a carbone, come suggerito dal Presidente Mario Draghi, per sopperire ai fabbisogni del Paese nell’immediato? Riusciremo a implementare quanto previsto dal decreto Bollette, approvato per ridurre i costi energetici nazionali, con le sue indicazioni per aumentare l’estrazione del gas naturale dai giacimenti nazionali? E le rinnovabili, sulle quali il Ministero della Transizione Ecologica ha puntato tanto, che fine fanno in questo contesto? Insomma, da qualche parte dovremo prendere la nostra energia. La direzione, però, non sembra molto chiara.
Le (legittime) incomprensioni sulla strategia energetica nazionale
Le contraddizioni sono molte, come fa notare Jacopo Giliberto in un articolo per il Sole 24 Ore. A partire proprio della posizione nazionale di fronte al gas naturale. Da una parte il decreto Bollette ne incentiva l’estrazione, dall’altra il Pitesai (Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee) blocca ogni tipo di azione nelle zone più ricche di giacimenti di gas, dal canale di Sicilia all’Alto Adriatico (la Croazia, pochi chilometri più in là delle acque nazionali, non si fa però gli stessi problemi a perforare).
E, in ogni caso, il gas naturale non è una soluzione immediata: anche se partiamo oggi con i progetti e ipotizziamo un iter autorizzativo pulito e rapido, il gas ci metterà almeno tre anni per arrivare in rete. Sarebbe stato forse più lungimirante intraprendere questa strada sette, otto anni fa, ma dal 2015 tutte le ricerche di nuove estrazioni sono state bloccate. Dopo aver scelto un’altra direzione, non possiamo pretendere di tirar fuori oggi il gas come per magia, come un mago estrae un coniglio dal suo cappello.
Ma ci sono le rinnovabili!
Sorvolando la questione carbone che agita gli spettri di un ritorno al passato, le rinnovabili potrebbero dare una mano al bilancio energetico nazionale. Soprattutto possono dare una grande mano alla crisi climatica. E come nota Antonio Scalari su Valigia Blu, la guerra in Ucraina dovrebbe riportare al centro del dibattito l’urgenza di proseguire spediti verso la transizione ecologica perché ha reso evidente la nostra dipendenza dai combustibili fossili: “Una dipendenza che è ormai insostenibile, sia dal punto di vista ambientale che economico, e che rallenta e ostacola la lotta alla crisi climatica.”
Non possiamo però ignorare l’elefante nella stanza. Moltissime delle nuove installazioni di impianti a fonte rinnovabile sono oggi oggetto di veti incrociati da parte delle comunità locali. In tutta Italia. Ultimo caso di cronaca di una lunga lista, il progetto di Toto Holding per il più grande parco eolico galleggiante d’Europa a 45 km dalle Egadi è naufragato (è il caso di dirlo) di fronte all’opposizione dell’Assemblea regionale siciliana perché l’area in cui avrebbe dovuto essere realizzato forse, forse, nasconde tesori archeologici. Se questo è l’atteggiamento di fronte alle rinnovabili, è normale che poi non ci rimanga altro che rivolgerci al gas naturale.
Le rinnovabili non devono essere abbandonate con tanta facilità. Le opposizioni alla loro installazione hanno come tema centrale il paesaggio, che dovrebbe essere tutelato sopra ogni cosa, secondo chi si oppone. Ma se per salvare il paesaggio, come dice Riccardo Luna su Repubblica, “un po’ lo cambiassimo?”. È il caso di riflettere molto bene, soprattutto alla luce di quanto sta accadendo in Europa.
Cosa fare di fronte alle contestazioni delle comunità locali? È fondamentale capire come condividere in maniera diversa i progetti di rinnovabili con i territori. Perché forse è giusto domandarsi se siano stati fatti degli errori nel corso degli anni.
La comunicazione in questi casi è centrale. Va però intesa nel suo senso profondo di condivisione, ascolto, costruzione relazionale, non come soluzione dell’ultimo minuto per “convincere”. Non si comunica di punto in bianco la costruzione di un nuovo impianto: il lavoro inizia molto prima. È necessario conoscere a fondo la storia del territorio, il contesto in cui si andrà a operare, la memoria “socio-ambientale” della comunità, terreno fertile per l’emersione di comitati contrari all’opera. Tutti questi elementi sono fondamentali per elaborare una strategia di dialogo e ingaggio e sviluppare percorsi partecipativi per coinvolgere la comunità.
Rinnovabili, comunicazione e dialogo per disinnescare argomenti esplosivi
Non si può avviare un progetto infrastrutturale senza aver fatto prima i conti con la comunità locale che da quel progetto verrà intimamente toccata. Agire su un territorio da zero attiva delle corde molto sensibili. Non è escludendo, sanzionando e obbligando che si risolve questo impasse infrastrutturale ma coinvolgendo i cittadini, ascoltando dubbi e preoccupazioni e soprattutto spiegando e motivando le scelte fatte. Magari, anche mettendo in campo un progetto di sostenibilità da sviluppare insieme al territorio in cui si andrà ad agire, una soluzione che può essere un valore aggiunto centrale per assicurare il successo del progetto.
Anche se a noi può sembrare un tema scontato, occorre fare uno sforzo per trasmettere la necessità e l’urgenza della transizione ecologica, prospettando con trasparenza i pro e i contro dei cambiamenti che dovranno essere affrontati e stimolando un confronto trasparente su questi argomenti.
Motivare l’apertura di una nuova infrastruttura per le rinnovabili sarà ben più semplice che spiegare perché abbiamo dovuto riaprire le centrali di carbone, no? Proviamoci.
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