Sergio Vazzoler Una volta era la Responsabilità Sociale d’Impresa. Con tutte le sue declinazioni: il welfare aziendale, l’attenzione ambientale, il sostegno delle comunità e i progetti con il mondo no profit. Oggi, guardando a quanto sta avvenendo negli Stati Uniti e non solo, siamo di fronte ad un ulteriore salto di qualità nella relazione tra il business e la sfera sociale. Tanto che si può azzardare la nascita di un nuovo, ingombrante, partito politico: le grandi imprese e i loro leader. Perché se è vero che ancora oggi molte imprese faticano non solo ad applicare la Corporate Social Responsibility ma addirittura a comprenderne il reale significato mentre altrettante la utilizzano per percorrere scorciatoie di pura immagine, non si può negare come sia in atto uno straordinario movimento di allargamento dell’agire d’impresa verso aree assai lontane dalle logiche finanziarie e di profitto. Al centro di questo spostamento ci sono tre assi fondamentali: 1. L’evoluzione della società in una stagione ove i diritti civili si impongono con forza nel dibattito pubblico e politico; 2. L’unione sempre più stretta tra globalizzazione dei mercati e disintermediazione dei processi di comunicazione; 3. Una nuova generazione di imprenditori che sembra avere imboccato una strada assai più consapevole circa la relazione diretta e reciproca tra benessere sociale e sviluppo economico. Sono davvero tanti i casi che confermano questa tendenza ma ciò che è in atto in queste settimane rappresenta qualcosa al contempo eclatante e strutturale. Vediamo perché. Partiamo da questa semplice domanda postata su twitter da Marc Benioff, il “capo” di Salesforce. Il CEO di una grande azienda, dunque, si rivolge al popolo tramite i social e chiede di esprimersi sulla decisione di restare o disinvestire dallo Stato della Georgia nel caso di approvazione di una legge che, a suo parere, discrimina i diritti dei gay. Oltre 6mila persone si esprimono in un batter di click e il risultato non lascia dubbi: l’80 per cento è favorevole ad abbandonare. Ma Benioff non si ferma qui e, consapevole, dei tre pilastri sopra citati del nuovo modo di fare impresa, sollecita e raccoglie una “santa alleanza” contro questa legge discriminatoria: sono oltre 100 i CEO di altrettante aziende che si uniscono nella battaglia sui diritti civili in Georgia e ci mettono la faccia. Il salto di qualità per chi guarda alle pratiche di CSR è evidente: non si assiste, infatti, ad una semplice presa di posizione politica ma ci si spinge alla minaccia di ritorsioni. Walt Disney, Warner Bros e Marvel minacciano di non girare più film in Georgia e persino la National Football League “avverte” del rischio per Atlanta di non poter più ospitare il Super Bowl. La palla di neve lanciata da Benioff rotola senza interruzione e si ingigantisce per giorni fino a che il governatore (repubblicano) della Georgia ricorre al suo potere di veto nei confronti del congresso locale e blocca la legge. L’euforia per la vittoria ottenuta dura poco e la battaglia si sposta immediatamente dalla Georgia al North Carolina, dove un’altra legge dai contenuti simili è stata invece approvata dal governatore locale. E il partito dei CEO riprende la sua partita per abrogare la legge: l’hastag #WeAreNotThis identifica il movimento di opposizione alla legge anti-LGBT e se Facebook e Google annunciano di non voler più finanziare le startup dello Stato del NC fino a quando non sarà abrogata la legge, l’NBA (la lega che organizza il più importante campionato di basket nordamericano) minaccia di spostare la gara All-Star del 2017 da Charlotte ad un’altra città, mentre la CEO di Pepsi prende carta e penna per pubblicare una lettera aperta al governatore del NC e la Bank of America si schiera apertamente contro ogni discriminazione dei diritti civili. Alcuni osservatori pronosticano un finale simile a quello della Georgia. Staremo a vedere ma intanto occorre prendere atto di questo nuovo attivismo politico delle aziende e dei loro CEO. Riguarda solo gli USA? Non si direbbe a giudicare dalla campagna virale dell’azienda La Molisana in occasione del prossimo referendum del 17 Aprile sulle trivellazioni a mare. Certo il retropensiero di essere di fronte a una nuova tattica nel cavalcare un impegno civile che piaccia ai propri consumatori è già scattato da parte di molti ma non convince. Forse è davvero più plausibile il “salto” degli imprenditori nel comprendere che oggi la “neutralità” rispetto alle decisioni politiche può pagare meno rispetto al passato e che lo sposare una causa può forse non accontentare tutti ma rafforzare l’intensità della relazione con il brand e i suoi valori.]]>