Adam Corner

Recentemente, il Cambrian News, un settimanale che riporta le notizie del Galles, ha informato i lettori che il Comune di Gwynedd voleva organizzare un “ritiro gestito” (cioè, un’evacuazione) dei residenti di Fairbourne, un villaggio pittoresco sulla costa gallese.
Quattrocento persone – circa la metà della popolazione di Fairbourne – hanno partecipato ad un’assemblea nella sala comunale, durante la quale la Giunta ha spiegato che non sarebbe stato possibile salvare Fairbourne dall’innalzamento del livello del mare (o almeno non con soluzioni economicamente sostenibili).

L’innalzamento del livello del mare è uno dei principali cambiamenti climatici che incombe sul Regno Unito. Eppure, ammesso che il cambiamento climatico sia stato citato durante l’assemblea, il Cambrian News non ne ha fatto menzione. E questo “silenzio sul clima” in relazione alle alluvioni si è ripetuto in tutto il Regno Unito durante il più piovoso gennaio della storia. Secondo le analisi condotte da Carbon Brief, tra le migliaia di articoli pubblicati sulle recenti alluvioni nel Regno Unito, fino al 6 febbraio, solo il 7{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} faceva riferimento al tema clima.

La situazione è leggermente cambiata quando il Tamigi ha rotto gli argini. Il cambiamento climatico ha occupato i titoli in quanto minaccia alla sicurezza nazionale, bucando per un brevissimo periodo il manto di disinteresse che di solito strozza il dibattito pubblico. E poi, improvvisamente, è di nuovo sparito. Abbiamo rifocalizzato la nostra labile attenzione su altri argomenti, e il dibattito politico si è già spostato verso altre questioni.

Come dimostra con forza un rapporto recente del RSA, il silenzio sul clima è una grande preoccupazione. In un’indagine nazionale, più di un terzo delle persone dice che non parla mai del cambiamento climatico. La situazione è simile negli Usa, dove la gente parla molto raramente con amici, vicini, colleghi o parenti di quello che, presumibilmente, è la più grande sfida dei nostri tempi.
E’ come se stessimo conducendo vite parallele. Percepiamo forse che il mondo vive al di sopra dei propri mezzi, ma non capiamo cosa possiamo fare, non siamo preoccupati, e non ne parliamo – lo neghiamo, in altre parole.

Non solo: come dimostra un rapporto nuovo di George Marshall per la Climate Outreach & Information Network, persino nel momento in cui il livello dell’acqua sale, ciò non catalizza le preoccupazioni riguardo al cambiamento climatico. Le comunità vittime di eventi meteorologici estremi cercano subito un nemico da incolpare – per molti residenti nella contea di Somerset, questo nemico erano l’Agenzia Ambientale e la sua gestione dei fiumi – e tendono ad unirsi, spinti da un senso di resistenza comunitaria, anziché premere per politiche climatiche che riducano il rischio di una ripetizione di eventi simili in futuro.

Il problema – che da sempre affligge il tema fortemente polarizzato del cambiamento climatico – è che è possibile interpretare l’ “evidenza” del clima estremo in molti modi diversi. Le alluvioni ci sono sempre state, e ci saranno di nuovo. Dire che il cambiamento climatico aumenta la probabilità e la gravità delle alluvioni è piuttosto semplice, ma è un discorso esposto agli attacchi degli scettici, poiché non è possibile collegare alcun singolo episodio meteorologico estremo al cambiamento climatico in modo conclusivo. Nella comunicazione del cambiamento climatico, ecco l’incertezza che occupa di nuovo la scena.
Anzi, le vittime di questi eventi avranno forti motivi personali e sociali per non voler accettare che episodi di questo tipo diventino più frequenti e pericolosi. Nessuno vuole credere che la propria casa possa diventare non assicurabile. E mentre si cerca di riprendersi dal senso di perdita e sconvolgimento, l’ultima cosa a cui la gente pensa è il cambiamento climatico.

Per quanto pieni di trappole comunicative, invece, gli eventi meteo estremi rappresentano importantissime opportunità per creare un collegamento tra gli impatti climatici e le vite delle persone, e il rapporto di Marshall offre alcune indicazioni al riguardo.

Quando si cerca un capro espiatorio, gli ambientalisti sono un bersaglio facile – quindi vi sono veri pericoli nello scegliere i “soliti sospetti” per occuparsi della comunicazione su questo tema. Potrebbero generare maggiore fiducia messaggeri provenienti da altri gruppi sociali o da pari. E’ molto importante evitare l’esagerazione o le previsioni catastrofiche: a lungo andare, usare la paura per convincere la gente ad essere più consapevole del cambiamento climatico non è una buona strategia. E l’utilizzo di narrative che riverberano con i valori di altre comunità tende a diffondere l’idea che chi parla sia un predicatore con una propria agenda da promuovere.

Dove sono i presidenti dei club calcistici che parlano di campi di gioco alluvionati per poi costruire una storia che abbracci temi più ampi? Perché David Cameron non parla del cambiamento climatico con lo stesso fervore e convincimento personale adottato per parlare dell’autonomia della Scozia?
Nell’assenza di spinte sociali a guidarci, non sorprende che la maggioranza delle persone continui a non preoccuparsi. Cercare di coinvolgere il territorio sul tema del cambiamento climatico all’indomani delle alluvioni può sembrare un compito ingrato, ma è un lavoro essenziale, perché sono proprio questi tipi di impatti che diventeranno sempre più estremi, fino a quando continueremo a cambiare il clima.

Come hanno detto i manifestanti di una protesta a Oxford, organizzata da molte famiglie alluvionate per la quarta volta in sei anni:  “Possiamo parlare di cambiamento climatico adesso?”

 

Fonte: http://www.theguardian.com/sustainable-business/engaging-climate-change-uk-floods