Come reagire davanti all’eco-attivismo?

2 Dic, 2022 | Analisi e commenti

La crisi climatica e ambientale è tutto fuorché una passeggiata ma impone un cambio radicale di visione e di azione che investe tutte le politiche ESG e tutti gli attori che di queste politiche si fanno portatori. ​Di Sergio Vazzoler, dalla rubrica Oltre il blablabla su CSRoggi, numero di settembre (sfogliabile integralmente qui)

Che cosa vale di più, l’arte o la vita?”: una domanda netta, spiazzante, quella pronunciata da una delle manifestanti coinvolte nelle eclatanti azioni di protesta per richiamare l’attenzione sulla crisi climatica. Azioni esercitate imbrattando le opere d’arte dei grandi musei con la precisa volontà di porre sulla bilancia la preoccupazione per la protezione di un dipinto e soppesarla con quella per il pianeta e la vita delle persone che lo abitano. Azioni che hanno trovato (anche in Italia) un’analoga sponda con gli attivisti che bloccano autostrade e tangenziali come forma di protesta non violenta ma altrettanto esplosiva nelle reazioni di chi si trova bloccato nel traffico e impossibilitato a raggiungere il posto di lavoro.

Come porsi dinnanzi a queste forme di disobbedienza civile da parte di movimenti ambientalisti composti in larghissima parte dalla generazione Z?

Al netto di chi l’ha risolta nel modo più facile possibile, etichettando, insultando e augurando ergastolo e pena di morte agli autori dei gesti di protesta, ritengo che per chi si occupa di comunicare la sostenibilità, l’interrogativo non solo è utile ma persino necessario. Provo a spiegare il perché.

Occorre porre più attenzione al disagio delle nuove generazioni

Non dobbiamo mai dimenticare come la sostenibilità ambientale sia strettamente legata a valori quali l’etica, la sicurezza, la salute. Da questi valori derivano dubbi, domande, richieste di approfondimento e rassicurazione, persino paure e ansie, o meglio eco-ansie come vengono definite oggi. In un recente convegno organizzato da Ferpi, Assoambiente ed Ecomondo, il Prof. Telmo Pievani ha ricordato come sia letteralmente “impennato” il numero di lettere e e-mail dei suoi studenti afflitti proprio da questo tipo di “ansia ecologica” e come il sentimento di frustrazione nel non venire minimamente ascoltati porti proprio alla scelta di aderire a campagne di disobbedienza civile.

La famosa “ultima spiaggia” di chi, sentendosi ignorato nelle proprie richieste di cambiamento e nella propria frustrazione, preferisce uscire dalla relazione – che sia con le istituzioni, la società o il mondo imprenditoriale.

Ecco, allora, che indipendentemente dal giudizio che ognuno di noi può avere su queste forme esasperate e pericolose di protesta, occorrerebbe fermarsi e porre molta più attenzione al disagio di una generazione che trova spesso e volentieri le porte sbarrate o, peggio, l’indifferenza nei confronti di un’istanza che, al contrario, imporrebbe una condivisione molto più forte tra le diverse generazioni e una presa in carico molto più determinata da parte di istituzioni e mercato. Perché le sfide del cambiamento climatico e della transizione ecologica impongono una collaborazione larga e un impegno concreto e tenace: la sostenibilità è un gioco di squadra, non una partita a solitario.

Dovremmo soffermarci a chiederci, ad esempio, come si possono sentire ragazzi e ragazze davanti a queste parole pronunciate in apertura dell’ultimo G20, dal Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres: “Siamo pericolosamente vicini a punti di svolta in cui il caos climatico potrebbe diventare irreversibile. La scienza ci dice che il riscaldamento globale oltre questo limite rappresenta una minaccia esistenziale per tutta la vita sulla Terra. Ma le emissioni globali e le temperature continuano a salire”.

Dal “fare qualcosa” al “fare qualsiasi cosa”

Se il capo delle Nazioni Unite parla di imminente minaccia esistenziale e parallelamente denuncia un comportamento generalizzato contrario a quello necessario, mettendosi nei panni di un adolescente che ha davanti a sé tutta una vita da vivere e che, a differenza delle generazioni precedenti, ha sviluppato una coscienza ambientale assai più marcata, forse ci renderemmo conto che il “fare qualcosa” può facilmente trasformarsi in “fare qualsiasi cosa”. Ed è proprio questo il punto che vorrei evidenziare a chi, all’interno delle imprese o delle organizzazioni pubbliche, ha il compito di comunicare la sostenibilità: questo segnale va colto come un campanello d’allarme più generale verso qualsiasi azione presentata in chiave sostenibile che non tenga sufficientemente in conto la richiesta di radicalità e di capacità realmente trasformativa del modello di sviluppo che proviene da queste ragazze e da questi ragazzi.

Questo non vuol dire affatto farsi condizionare e intraprendere scorciatoie nel proprio cammino verso la sostenibilità, magari aumentando il rischio di cadere nell’involontario greenwashing, bensì significa alzare ogni giorno l’asticella della capacità di ascolto e analisi del contesto in cui si opera, in modo tale da agire e apparire per come si è, dimostrando autenticità e motivando ogni singola scelta, evitando di fermarsi alla superficie ma entrando in profondità nel merito delle singole richieste e istanze e rendere le risposte il più possibile accessibili, comprensibili ed esaustive.

Come reagire

Se le modalità di queste forme di protesta appaiono tanto sbagliate quanto inefficaci, visto che l’attenzione si concentra assai più sul gesto medesimo (l’opera d’arte imbrattata) che non sul messaggio collegato (la difesa della vita sul pianeta), al contempo, dovremmo andare oltre, evitando l’approccio sprezzante e umiliante, provando in ogni modo a riattivare un confronto sul merito. Come? Senza cadere nel buonismo, pericoloso quanto la scorciatoia punitiva, evidenziando i rischi di questi gesti ma non chiudendosi a riccio, proprio come hanno fatto i 92 direttori dei più importanti musei del mondo, scrivendo una lettera aperta che mette in luce la pericolosa sottovalutazione della fragilità di opere d’arte uniche e insostituibili e, parallelamente, l’impegno a mantenere l’apertura dei musei a tutti coloro che intendono farlo vivere come luogo di comunicazione sociale.

Ecco, a proposito di comunicazione e sostenibilità, questi gesti contengono un messaggio che siamo obbligati a prenderci in carico: la crisi climatica e ambientale è tutto fuorché una passeggiata ma impone un cambio radicale di visione e di azione che investe tutte le politiche ESG e tutti gli attori che di queste politiche si fanno portatori. Se non viene compresa l’urgenza di cambiare passo, assisteremo a spinte e spallate ben più scomode del purè sul dipinto e difficilmente torneremo a farci travolgere dalla bellezza davanti ai capolavori dei nostri musei.

Sergio Vazzoler

l’intervento originale è pubblicato su CSRoggi: https://www.csroggi.org/3d-flip-book/csroggi-magazine-n-5-6-dicembre-2022/