Cresce l’insofferenza verso il mondo ESG? Servono una comunicazione positiva e un po’ di audacia
Il 2024 inizia con alcuni segnali di insofferenza verso il mondo ESG che non vanno sottovalutati. Che siano spie che anticipano un golpe in-sostenibile oppure che si tratti di semplici resistenze psicologiche, è importante analizzarle, prenderne coscienza e di conseguenza agire. Articolo di Sergio Vazzoler, uscito sul numero di gennaio/febbraio 2024 di CSRoggi.
Il contesto non è dei più semplici da leggere, tra tendenze contradditorie che si sovrappongono. Al World Economic Forum di Davos la transizione ecologica l’ha fatta da padrona. L’impressione che se ne ricava è che il mondo economico-finanziario ormai assuma un linguaggio simile allo stesso usato da Greta Thunberg proprio a Davos. La crisi climatica diventa così una “minaccia esistenziale”, e le immagini di ebollizione globale evocate dal Segretario dell’ONU Guterres si fanno più vivide.
L’imminente catastrofe e il costante clima emergenziale, però, non sembrano sollecitare una decisa azione collettiva. Anzi. ADN Kronos riporta i risultati di una ricerca Global Web Index che certifica un calo d’interesse verso le questioni ambientali, evidenziando il fenomeno della ‘Apocalypse Fatigue’, quella sensazione di esaurimento dovuta al “dover fare scelte morali infinite e che non sembrano fare la differenza”. Nei sondaggi l’attenzione verso la sostenibilità e i temi ambientali, benché ancora significativa, inizia a segnare qualche flessione. Si tratta solo di resistenza psicologica, che rischia di trasformarsi in rifiuto? Assolutamente no, le matrici sono diverse. E non manca quella politica.
D’oltreoceano soffia un vento reazionario… e in Europa?
Tutti questi “segni meno” sulle attenzioni dei consumatori verso i comportamenti e le scelte sostenibili, sono una spia che potrebbe diventare qualcosa di più pericoloso nei mesi di campagna elettorale europea, dove c’è chi soffierà sul fuoco della mannaia green contro imprese, cittadini e agricoltori, che sono già scesi sulle strade in mezza Europa. E che non solo non hanno trovato alcune tipo di opposizione (a differenza dei giovani eco-attivisti) ma addirittura hanno trovato larga adesione tanto in ambito istituzionale quanto nel mondo mediatico. Dopotutto, dagli Stati Uniti le critiche ai criteri ESG non sono mai mancate. L’ultima, folcloristica, notizia riguarda la richiesta dei repubblicani del New Hampshire di prevedere la prigione per chi investe in ESG. Per quanto paradossale, non è la prima e non sarà l’ultima notizia di questo tipo.
“Nella comunità internazionale, nell’Unione europea, nelle istituzioni nazionali, nella società italiana, nelle nostre imprese, non tutti pensano che l’Agenda 2030 sia la bussola da seguire, al di là delle dichiarazioni di facciata”: la “fotografia” di qualche mese fa del Direttore Scientifico di ASViS, Enrico Giovannini, inizia a trovare qualche esempio concreto anche da noi. Da una parte i liberal-populisti nostrani parlano di fuffa ESG, buttando tutto nello stesso calderone. Dall’altra spingono il Governo a trovare correttivi alle nuove regole introdotte dall’Europa sulla rendicontazione di sostenibilità (CSRD), definite come l’ennesimo balzello a cui far fronte in base a una “torsione ideologica” delle finalità e della gestione d’impresa. È l’inizio di una campagna mediatica che parte da qui per smontare le tesi del cambiamento climatico?
Si tratta dell’ennesima bolla, a cui abbiamo già assistito per altri fenomeni? È plausibile ma l’esperienza diretta sul campo, a contatto con le organizzazioni, dà un’altra indicazione: le scelte aziendali, soprattutto quelle catalogabili come ambientali, sono spinte sempre più da un driver economico. La mano invisibile del mercato sta spingendo in una direzione positiva per gli ESG. E qui torniamo a Davos. Sono pronto a scommettere a un consolidamento dell’attenzione verso le tematiche di sostenibilità: ambiente, risk management, crisi climatica ma anche disuguaglianze sociali, diritti dei lavoratori, inclusione.
Insofferenza verso il mondo ESG: rispondere con la comunicazione positiva
Chi, come me, si occupa di sostenibilità per professione, dovrà comunque combattere una battaglia. Come? Sicuramente cercando ancora di più chiavi di lettura positive, messaggi e approcci che mettano in luce le opportunità e i vantaggi che, attenzione, già esistono e quindi vanno condivisi. Oltre a sottolineare i costi, è necessario parlare anche dei vantaggi economici e dei risvolti sociali dello sviluppo sostenibile: pensiamo a quanto le azioni di adattamento agli eventi climatici possano far risparmiare un’impresa, contenendo i danni a strutture e impianti e quanto tutto ciò impatti sul tessuto sociale della comunità locale.
Allo stesso tempo, però, dovremo essere in grado di prendere in carico le critiche e i segnali di insofferenza verso l’universo ESG. A partire da chi lamenta negli investimenti di sostenibilità un costo troppo elevato per le proprie tasche. E qui ritorno sul mio chiodo fisso: far vivere la sostenibilità non può prescindere dal distinguere tra chi vuole continuare a restare agganciato a un modello economico egoista e iniquo e chi ha solo bisogno di supporto per poter “transitare” a un modello più sostenibile.
Non sarà sicuramente semplice: chi intende osteggiare la transizione userà l’arma della disinformazione, il principale rischio globale secondo il World Economic Forum che dovremo affrontare nel breve termine accanto proprio ai rischi ambientali. Se dovremo imparare ad accogliere le critiche, dovremo anche combattere con determinazione e coraggio le strumentalizzazioni che intendono alimentare distorsioni, bias e polarizzazioni: due facce della stessa medaglia che altro non è che la comunicazione responsabile.