CSRD, la Germania vorrebbe ridurre la platea delle imprese obbligate. Ma il cambiamento è inevitabile
Iniziano i primi incidenti di percorso per la nuova norma europea sul reporting di sostenibilità. Tra i timori delle aziende e l’evoluzione del modello di business, è necessario diffondere una nuova cultura.
È notizia di pochi giorni fa. La Germania vorrebbe esentare circa 7.000 imprese dall’obbligo di rendicontare la propria sostenibilità, così come stabilito dalla CSRD, la Corporate Sustainability Reporting Directive che norma la reportistica ESG. Del forte impatto che questa normativa è destinata ad avere sul contesto europeo si è parlato ampiamente e in più sedi. È sufficiente ricordare, per inquadrare la portata del cambiamento, che le imprese chiamate a rendicontare a livello europeo saranno oltre 50mila, contro le 11mile obbligate oggi. Il suo percorso, però, dopo le richieste della Germania non sembra più così lineare come immaginato. Eppure, tutto ci indica che la rotta verso modelli d’impresa più sostenibili non è più invertibile. E come può esserci sostenibilità senza rendicontazione?
La richiesta della Germania
Quello che la Germania sta chiedendo e che ha messo in allerta l’UE è ampliare la definizione di Piccola e media impresa. Al momento, la definizione condivisa a livello europeo di Pmi si basa su questi elementi:
– meno di 250 dipendenti (requisito stabilito dall’Ocse per qualificare le Pmi);
– fatturato annuo di massimo 50 milioni di euro oppure totale di bilancio annuo entro i 43 milioni di euro.
Il governo tedesco chiede di intervenire sul primo requisito, alzando la soglia da 250 a 500 dipendenti. La motivazione ufficiale? “Limitare il carico burocratico”.
Secondo i calcoli del think tank Center for European Policy Studies della Commissione europea, questa “piccola” modifica esenterebbe dall’obbligo di rendicontazione un numero di aziende che va dalle 7.500 alle 8.000. Una bella differenza, rispetto a quanto stabilito dalla direttiva.
Paure legittime? Certo, ma la sostenibilità non è più rimandabile
L’avvicinamento delle elezioni comporta inevitabilmente l’aumento di iniziative da “campagna elettorale”, e non solo in Italia. Non vogliamo ridurre a questo le notizie che giungono dalla Germania: Berlino con le sue richieste intercetta senza dubbio le paure delle PMI (e non solo) di essere travolte da nuovi obblighi. Queste paure, certamente comprensibili, sono dettate innanzitutto da un gap culturale e da insufficienti politiche di sostegno.
Per un’organizzazione moderna affrontare il percorso di sostenibilità rappresenta un’opportunità da non perdere: è positivo per gli aspetti reputazionali – gli stakeholder chiedono a gran voce sempre più trasparenza – così come per quelli finanziari. Un’azienda che non ha paura di mostrare come intende affrontare le sfide della sostenibilità rassicura non solo i suoi azionisti ma anche i mercati e gli investitori, innanzitutto perché così facendo dimostra di anticipare e gestire i rischi.
La CSRD spinge per il cambiamento
La CSRD non fa altro che accelerare un percorso inevitabile, verso un approccio economico che, per essere duraturo, deve per forza confrontarsi con dinamiche di lungo periodo determinate, tra l’altro, dal cambiamento climatico così come dalla rivoluzione sotterranea che sta avvenendo nel mondo del lavoro. Si pensi, su questo ultimo punto, alle aspettative della Generazione Z e al tema delle “grandi dimissioni”.
Ciò che manca davvero alle PMI è l’accompagnamento con politiche di sostegno (qualche incentivo aiuterebbe) ma soprattutto con campagne a tappeto da parte delle associazioni di categoria per formare e guidare imprenditori e manager. Senza dimenticare di mettere a fattor comune competenze e buone pratiche già esistenti. Ed è su questo vuoto che occorre intervenire al più presto, per far capire come in realtà la CSRD indichi una strada che assicura la sostenibilità sul medio termine, a partire proprio da quella economica.