Economia circolare: a che punto è l’Italia?
Buoni risultati rispetto agli altri Paesi. Ma per imboccare con decisione la strada della transizione serve più impegno (in tutta Europa). I risultati del Rapporto 2022 sull’economia circolare curato da Circular Economy Network ed ENEA
Rispetto alle altre nazioni europee, l’Italia fa bene in quanto a economia circolare. Gli obiettivi sfidanti dalla transizione ecologica, però, sono ancora lontani. Il Rapporto 2022 sull’economia circolare, curato da CEN (Circular Economy Network – la rete promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile assieme a un gruppo di aziende e associazioni di impresa) in collaborazione con ENEA, fa il punto sullo stato dell’economia circolare nel nostro Paese, mettendolo a paragone con altre quattro nazioni di riferimento (Germania, Francia, Spagna e Polonia).
Di sfondo, in trasparenza, la delicatissima situazione economica e geopolitica, che – tra conseguenze del cambiamento climatico, coda lunga della pandemia e guerra in Ucraina – ha determinato l’impennata dei costi delle materie prime. Ora più che mai l’economia circolare potrebbe essere la soluzione. Eppure, ancora fa fatica a decollare.
Mettiamolo subito in chiaro: a livello globale la situazione non è delle migliori
A livello globale, invece di andare avanti siamo tornati indietro. Tra il 2018 e il 2020 il tasso di circolarità mondiale è sceso dal 9,1 all’8,6%, secondo il Circularity Gap Report. Più del 90% delle risorse estratte e consumate non rientra nel circolo virtuoso dell’economia circolare, ma diventa rifiuto. I consumi sono aumentati dell’8%, fino a superare i 100 miliardi di tonnellate di materie prime usate, mentre il riutilizzo è cresciuto solo del 3%, arrivando a poco più di 8 miliardi di tonnellate e mezzo. Gran parte delle materie prime che sottraiamo agli ecosistemi vengono così sprecate.
La crisi attuale è effetto della congiuntura oppure falla di sistema?
Per capire come uscire da questa impasse e ingranare la marcia verso un modello economico più sostenibile dovremo prendere coscienza della situazione in cui viviamo. La crisi attuale non è solo frutto della congiuntura. È la spia “di una tendenza di fondo, strutturale” connaturata al nostro modello di sviluppo, caratterizzato da una domanda crescente di materiali presenti solo in quantità limitata sul Pianeta. E proprio l’economia circolare potrebbe darci lo slancio per “uscire dal pantano”. “La conversione verso modelli di produzione e di consumo circolari – si legge nel Rapporto – è sempre più una necessità non solo per garantire la sostenibilità dal punto di vista ecologico, ma per la solidità della ripresa economica, la stabilità dello sviluppo e la competitività delle imprese.”
In Italia un timido segnale di speranza
L’obiettivo a cui mirare, centrale per il Green Deal europeo e per l’evoluzione dell’economia circolare, è il disaccoppiamento tra crescita economica e uso delle risorse. E l’Italia non l’ha raggiunto: per il momento Pil e consumo delle materie prime vanno di pari passo e tornano ai valori pre-pandemia. Nonostante questo, a livello europeo l’Italia registra una delle migliori performance di economia circolare ed è prima, insieme alla Francia, tra le principali economie europee per quanto riguarda i più importanti indicatori di circolarità. Buoni risultati (vd. dopo) che però sono positivi solo quando paragonati alla “concorrenza”. Per far decollare l’economia circolare servirebbe molto di più.
Quali politiche per migliorare le performance di economia circolare?
Come superare le difficoltà dell’attuale quadro economico e virare con decisione verso un modello più sostenibile e circolare? I progetti in campo non mancano. Come il nuovo Piano di azione per l’economia circolare, parte del Green Deal, che punta ad accelerare la transizione verso un’economia circolare e rigenerativa, attraverso una nuova attenzione alla progettazione di prodotti sostenibili e alla circolarità nei processi produttivi, con particolare riguardo ai settori più impattanti.
E ancora, a livello italiano, il PNRR, che destina 2,1 miliardi di euro per migliorare la capacità di gestione efficiente e sostenibile dei rifiuti e il paradigma dell’economia circolare. Tra i suoi obiettivi, il raggiungimento entro il 2030 di un tasso di utilizzo circolare dei materiali pari almeno al 30% e la riduzione del 50% della produzione di rifiuti entro il 2040. Tutte misure che vanno messe a terra ora, senza esitazione, per definire una strategia nazionale di economia circolare, sostenere gli investimenti delle imprese in direzione della circolarità, favorire il trasferimento di tecnologie, conoscenze e competenze verso le Pmi, semplificare le procedure.
Infine, fondamentale sarà occuparsi della questione anche dal lato dei consumatori. Anche qui, l’Unione Europea ha iniziato a muoversi nella direzione della responsabilizzazione e della trasparenza, avanzando una proposta di direttiva in merito a greenwashing e pratiche sleali.
Aziende e consumatori, Paesi e cittadini dovranno remare tutti nella stessa direzione perché la trasformazione dell’economia sia effettiva, efficace e sostenibile.
Italia ed economia circolare: qualche dato
Il consumo delle materie prime
Nel 2020 in Europa sono state consumate in media circa 13 tonnellate pro capite di materiali. Le differenze tra le cinque maggiori economie analizzate nel Rapporto sono sostanziali. In cima alla classifica c’è l’Italia, con 7,4 tonnellate per abitante, seguono la Francia (8,1), la Spagna (10,3), la Germania (13,4) e per ultima la Polonia, con un dato ben più alto della media europea (17,5).
Inoltre, negli ultimi dieci anni, l’Europa ha registrato una diminuzione dell’uso di materie prime, dovuta in parte alla delocalizzazione di alcune produzioni. In Italia si è registrata la riduzione pro capite maggiore tra i Paesi considerati, il 36%. Segue la Spagna con il 27%. Gli altri tre Paesi analizzati hanno registrato una diminuzione dei consumi per abitante compresa tra il 16 e il 17%. Ma – e questo è il filo conduttore di questo Rapporto – i risultati dell’Italia appaiono complessivamente buoni solo se paragonati alla concorrenza.
L’utilizzo circolare di materia
Il buon andamento dell’Italia è confermato anche dal tasso di utilizzo circolare di materia, calcolato come il rapporto tra l’uso circolare di materia e l’uso complessivo (cioè l’uso proveniente da materie prime vergini e da materie riciclate). Nel 2020, ultimo anno disponibile di dati, nell’Unione europea il tasso di utilizzo circolare di materia è stato pari al 12,8%. L’Italia ha superato questo valore, raggiungendo il 21,6%, seconda solamente al risultato della Francia (22,2%) e superiore di quasi dieci punti percentuali rispetto Germania (13,4%). Non solo: rispetto a queste specifico indicatore di economia circolare, l’Italia si posiziona quarta su tutti e ventisette gli Stati membri. Davanti a noi, solo Paesi che vengono da una lunga storia virtuosa in questo campo, come Paesi Bassi e Belgio, oltre alla già citata Francia.
L’Italia al top per il riciclo totale dei rifiuti
Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti siamo tra i migliori. In Italia la percentuale di riciclo di tutti i rifiuti ha raggiunto quasi il 68%. Si tratta del dato più alto dell’intera Unione europea.
Andiamo nel dettaglio. Tra le cinque economie analizzate, l’Italia al 2018 ha avviato a riciclo la quota maggiore di rifiuti speciali (quelli provenienti da industrie e aziende), ossia il 75%. A livello di rifiuti urbani (il 10% dei rifiuti totali generati nell’Unione Europea), il nostro Paese ha riciclato nel 2020 il 54,4%, superando la media UE (47,8%) e avvicinandosi moltissimo all’obiettivo di riciclaggio europeo al 2025 (55%). L’obiettivo di riciclaggio è del 55% al 2025, del 60% al 2030 e del 65% al 2035.
Energia rinnovabile
Per quanto riguarda la quota di energia rinnovabile utilizzata rispetto al consumo totale lordo di energia, l’Europa ha registrato un trend crescente di circa il 5% tra 2010 e 2019, attestandosi all’ultimo anno di analisi al 19,7%. Tra i cinque Paesi osservati nel Rapporto CEN, la Spagna è quello con la quota maggiore di energia rinnovabile sul consumo totale lordo (18,4%), seguita dall’Italia con il 18,2%.
Le note dolenti: consumo di suolo, eco-innovazione e riparazione dei beni
Ci sono però alcuni settori dell’economia circolare in cui l’Italia è in difficoltà. In primis, il consumo di suolo: se nel 2018 la media UE di territorio coperto da superficie artificiale era pari al 4,2, l’Italia ha registrato un dato del 7,1%. Dopo di noi, tra i cinque Paesi presi in esame, solo la Germania, con il 7,6%.
C’è poi il capitolo dell’eco-innovazione. Qui ci piazziamo tra gli ultimi posti. Nel 2021, dal punto di vista degli investimenti, eravamo al 13° posto nell’UE. Infine, la riparazione dei beni: nel nostro Paese nel 2019 lavoravano alla riparazione di beni elettronici e di altri beni personali (vestiario, calzature, orologi, gioielli, mobilia, ecc.) oltre 23.000 aziende. Siamo dietro a Francia (più di 33.700 imprese) e Spagna (poco più di 28.300). Si tratta di un settore in cui abbiamo perso quasi 5.000 aziende (cioè circa il 20%) rispetto al 2010.
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