Edelman Trust Barometer 2025: dal risentimento alla crisi del patto sociale

17 Feb, 2025 | Analisi e commenti

Edelman Trust Barometer 2025: dalla sfiducia al risentimento

Perché la sfiducia non è più un problema da risolvere, ma un nuovo sistema di potere. Sostenibilità e comunicazione responsabile possono essere le chiavi per ricostruire il patto tradito?

Se c’è un termine che definisce l’Edelman Trust Barometer 2025 è grievance, risentimento. Il report non rileva solo sfiducia o disillusione, ma un vero e proprio sentimento di ingiustizia radicato che attraversa le società globali. Quest’anno, Edelman non si limita a registrare l’erosione della fiducia, ma ci restituisce una fotografia di qualcosa di più profondo: un cortocircuito sociale in cui il futuro non è più una promessa, ma una minaccia.

Dalla sfiducia al risentimento: l’Edelman Trust Barometer registra un cambio di paradigma

I dati parlano chiaro: più della metà degli intervistati pensa che il capitalismo faccia più male che bene, il 61% crede che governi e aziende agiscano nell’interesse di pochi privilegiati, e 4 persone su 10 approverebbero una o più forme di attivismo ostile o violento. Il futuro non viene solo percepito come incerto, ma come strutturalmente ingiusto.

E in questo scenario, la polarizzazione è diventata un sistema di sopravvivenza: ci si rifugia nelle proprie convinzioni e si diffida di tutto il resto. Se fino a qualche anno fa la sfiducia era un problema da risolvere, oggi è un dato di partenza, un livello zero non più eludibile. E questa situazione non riguarda solo i governi o i media – i più colpiti da questo crollo – ma si estende anche alle imprese, alle ONG, ai leader e alle stesse regole del gioco democratico.

Non siamo più in un contesto in cui la fiducia si può recuperare semplicemente migliorando le prestazioni delle istituzioni o garantendo maggiore trasparenza. Il risentimento si autoalimenta e diventa una leva di potere politico e sociale: governi e movimenti populisti lo cavalcano, i media e i social lo amplificano, le aziende ne subiscono gli effetti nel loro rapporto con i consumatori e i dipendenti. La sfiducia diventa quindi una nuova normalità, un elemento che ridefinisce le dinamiche di influenza e controllo nella società.

Non è solo sfiducia, è senso di ingiustizia

A leggere tra le righe dell’Edelman Trust Barometer 2025, si coglie come questo risentimento abbia precise radici economiche e sociali. Va ben oltre un generico malessere e si configura come la conseguenza di dinamiche tangibili: il costo della vita che cresce più rapidamente dei salari, la precarietà lavorativa e le minacce economiche globali. Il 62% delle persone teme la perdita del lavoro a causa dei conflitti commerciali internazionali che incidono sui loro mezzi di sostentamento. Tra le altre minacce percepite ci sono la recessione (63%) e l’automazione (58%).

Ma c’è un altro fattore chiave che alimenta il senso di vulnerabilità e di frustrazione: la crisi climatica. L’insicurezza economica e la disuguaglianza si intrecciano sempre più con il degrado ambientale e l’instabilità climatica, che rendono ancora più precario lo scenario futuro. Appena il 36% delle persone ha fiducia che la prossima generazione starà meglio della precedente: un dato che non si spiega solo con motivazioni economiche, ma anche con l’erosione delle certezze ambientali e con la sensazione che il tempo per invertire la rotta stia scadendo.

L’ingiustizia sociale e quella climatica non sono compartimenti stagni, ma due lati della stessa medaglia. L’aumento delle disuguaglianze e la sensazione che i grandi poteri non stiano affrontando seriamente le sfide del nostro tempo alimentano il risentimento e il distacco dalla narrazione istituzionale.

Le imprese: ultima roccaforte della fiducia?

In questo contesto, le aziende restano l’istituzione più affidabile. Un dato quasi paradossale, se si pensa che proprio il mondo del business è uno dei principali bersagli del risentimento sociale. Ma la spiegazione è semplice: se i governi vengono visti come corrotti e i media come manipolatori, le imprese, almeno, sono percepite come competenti. Sanno fare, generano risultati, creano impatto.

Ma attenzione: questa fiducia è fragile e altamente condizionata dal contesto. Se in generale il business è visto come più affidabile (+48 punti rispetto ai governi in termini di competenza), tra chi nutre un forte senso di ingiustizia questa percezione crolla. Chi si sente vittima del sistema smette di vedere le aziende come un motore di cambiamento e inizia a percepirle come parte del problema.

C’è però una lezione chiara nell’Edelman Trust Barometer per il mondo corporate: non basta essere efficienti, bisogna essere percepiti come giusti. L’etica aziendale non può più essere una dichiarazione di intenti, ma deve tradursi in azioni concrete. Il 77% delle persone si aspetta che le imprese, oltre a far bene il proprio lavoro, facciano la differenza nella società. E questo significa non solo garantire salari equi e stabilità economica, ma prendere posizione con azioni concrete sulla giustizia sociale e ambientale.

Sostenibilità e comunicazione responsabile: due pilastri per ricucire le distanze

Se la fiducia è il capitale più scarso del nostro tempo, due elementi sono fondamentali per ricostruirla: un impegno serio sui temi della sostenibilità e una comunicazione responsabile.

La sostenibilità non può più essere una questione secondaria o un semplice “nice to have” nelle strategie aziendali e istituzionali. Le persone hanno bisogno di vedere azioni concrete – e quindi strategiche, rilevanti, monitorate e comunicate con trasparenza – che generino impatti positivi sia sul piano sociale che ambientale. Chi ignora questa richiesta, chi continua a trattare la sostenibilità come una superficiale questione di immagine, non solo perde fiducia, ma alimenta ulteriormente il risentimento. Insomma: dirsi aziende attente ai temi di diversità, inclusione e sostenibilità (un esempio davvero casuale…) per poi, appena il vento politico cambia, smantellare i propri team e programmi interni dedicati a questo tema, non può rafforzare il senso di fiducia dei consumatori nei nostri confronti. Con queste mille giravolte avremo solo mostrato di aver aderito ai temi di sostenibilità come se fossero trend su Tik Tok, in maniera un po’ incoerente e dissociata. Un approccio che diventa un vero e proprio boomerang. Integrare la sostenibilità in azienda è ben altra cosa, e le persone se ne accorgono sempre di più.

La comunicazione responsabile è l’altro grande tema. Il 63% delle persone fatica a distinguere le informazioni vere dalla disinformazione, e il 69% teme che i leader mentano deliberatamente. In questo scenario, chi comunica – aziende, governi, media, ONG – ha una responsabilità cruciale: fornire informazioni trasparenti e verificabili (questo dovrebbe essere davvero il minimo indispensabile) ma soprattutto costruire uno spazio di comunicazione trasparente, positivo e inclusivo, che riduca la polarizzazione invece di alimentarla, che faccia propri i principi di accessibilità e comprensibilità, che sappia accorciare le distanze e parlare in maniera autentica agli stakeholder.

Verso un modello di fiducia attiva

Parlare di sostenibilità, inclusione e futuro migliore deve andare di pari passo con il costruire un dialogo reale con le persone. Non si tratta di scegliere tra comunicare o agire: le due cose devono viaggiare insieme, su binari paralleli, perché entrambe sono reali e hanno un impatto concreto.

Un impegno credibile e visibile sui temi sociali e ambientali è oggi una bussola essenziale per uscire da questo guazzabuglio di sfiducia. La comunicazione responsabile – trasparente, accessibile, consapevole – può diventare lo strumento attraverso cui ricostruire un linguaggio comune e un terreno di confronto sgombro di fraintendimenti, sotterfugi e manipolazioni. Perché la fiducia non è un atto spontaneo o dovuto, ma il risultato di relazioni costruite nel tempo, dove ciò che si dice e ciò che si fa contribuiscono, in egual misura, a creare un futuro credibile. Un futuro ricco di opportunità, e non un cupo destino scritto nella pietra.

Micol Burighel