ESG, equivoci artificiali e intelligenza relazionale
Le contraddizioni della sostenibilità mainstream si combattono con più comunicazione. A patto di mettere davvero le persone al centro. Articolo di Sergio Vazzoler, uscito sul numero di giugno-luglio di CSRoggi.
La sostenibilità? Un’invenzione insopportabile usata soprattutto da chi, nell’agire d’impresa, si fa guidare più dalla tattica che dai valori: sempre più spesso frasi di questo tipo ricorrono nei ragionamenti degli imprenditori che, volenti o nolenti, si devono porre l’obiettivo di misurare e rendicontare le proprie attività ESG. Siamo di fronte a una crescente reazione contraddistinta da un mix di fastidio e frustrazione da parte di chi la sostenibilità l’ha da sempre interiorizzata nel proprio modo di pensare e agire, senza sentire il bisogno di farlo sapere. Una reazione nei confronti della sostenibilità mainstream, di chi si fregia di indici spesso generici e contraddittori, premi assai generosi e certificazioni o bollini a buon mercato. Tutto quanto comprensibile e pure condivisibile.
Ad eccezione, però, di un grosso equivoco.
Per entrare nel merito facciamo un passo indietro. È vero, la sostenibilità altro non è che una conseguenza di un altro obiettivo: generare valore facendo impresa. È questo che muove da sempre il vero imprenditore: creare valore per sé, per i propri collaboratori e le loro famiglie, per il territorio e le comunità che ospitano le attività aziendali, sperimentare e innovare, gestire i rischi e, in ultima analisi, generare nuove opportunità.
E, così facendo, che bisogno c’è nel comunicare quelle azioni che il mainstream oggi definisce e incasella come fattori ESG?
E qui veniamo al punto, anzi all’equivoco di fondo. L’abuso del termine comunicazione, piegato e stressato verso i falsi sinonimi di informazione, promozione, marketing, pubblicità, immagine e tutte le altre parole che presentano una qualche assonanza con il comunicare, ha comportato una nefasta distorsione del significato originale di “messa in comune” e una parallela reazione di rifiuto nei confronti della bulimia autocelebrativa e multicanale di tutto quanto è legato alla parola. E portando, così, a bollare la comunicazione sociale e ambientale come qualcosa da cui prendere le distanze per non apparire ridondanti e appiattiti al “così fan tutti”, perdendo la purezza del generare valore dal semplice agire d’impresa.
Comunicare gli ESG = generare valore e condividerlo
Ma il valore è generato solo se viene condiviso, fatto vivere nell’esperienza dei nostri interlocutori, alimentando un processo virtuoso e continuo di ascolto, dialogo e scambio.
Alcuni esempi concreti: come possono riuscire le PMI quotate impegnate in azioni ESG ad attirare l’interesse degli investitori istituzionali se non pubblicano i dati relativi alle prestazioni ambientali, sociali e di governance? E, ancor di più, indipendentemente dal settore o dalle dimensioni, come possono le imprese impegnate nelle sfide globali della decarbonizzazione, della transizione digitale ed ecologica, della Diversity & Inclusion e dei diritti, raggiungere traguardi tanto ambiziosi senza “governare le relazioni” con istituzioni, fornitori e cittadini, coinvolgendoli attivamente in una co-progettazione e co-responsabilizzazione? E, ancora, come possono riuscire le imprese del comparto chimico o dello smaltimento dei rifiuti a tenere insieme innovazione di processo (fondamentale per rendere il sistema produttivo nazionale più sostenibile e circolare) e attività di risanamento ambientale, senza sperimentare nuove forme di ingaggio delle popolazioni locali?
Diversamente, in situazioni come queste dove la complessità delle sfide non permette scorciatoie, sarà pressoché impossibile creare consapevolezza e fiducia se non, appunto, attraverso la messa in comune di significati, valori, obiettivi. Ecco, allora, che la comunicazione diventa per la sostenibilità come la farina per il pane, da utilizzare in ogni fase del percorso ESG, a maggior ragione in quello iniziale dove si devono fissare gli obiettivi a medio-lungo termine e portare a bordo collaboratori e interlocutori esterni. Altro che fiocco sul pacchetto!
L’Intelligenza Artificiale può facilitare il compito (?)
Il ritmo del cambiamento non è più quello progressivo e graduale sperimentato nel passato, ma presenta discontinuità e accelerazioni improvvise, spesso radicali. In questo scenario diventa ancora più strategico dedicare tempo, energia e risorse allo sviluppo di competenze non solo tecniche, ma anche gestionali e di networking: per far fronte alle crescenti richieste del legislatore, del sistema creditizio e dei cittadini in termini di sostenibilità, occorre agire, misurare, rendicontare e prevedere.
E l’Intelligenza Artificiale, se attentamente governata, può facilitare il compito. Ma senza la costruzione, lenta e faticosa, di una nuova cultura che metta al centro l’elemento umano e la sua natura relazionale, la sfida è persa in partenza.