Flow: il film d’animazione che racconta il cambiamento climatico senza parole

10 Mar, 2025 | Focus Mondo

Il mondo sommerso in Flow

Flow ci accompagna in un viaggio visivo e simbolico che interroga il nostro ruolo nella crisi ambientale.

L’animazione ha spesso il potere di rendere accessibili temi complessi, traducendoli in immagini evocative e universali. “Flow – Un mondo da salvare”, vincitore dell’Oscar per il miglior film d’animazione 2025, è un perfetto esempio di come il cinema possa affrontare il cambiamento climatico senza bisogno di proclami o dialoghi, ma attraverso una narrazione visiva potente e immersiva.

Diretto dal regista lettone Gints Zilbalodis, Flow trasporta gli spettatori in un mondo post-umano sommerso dall’acqua, dove un gatto nero e altri animali sono costretti a convivere e collaborare per sopravvivere. Un’opera senza parole, che parla però chiaramente della crisi climatica e della necessità di un’azione collettiva per contrastarla.

Il film ci spinge a riflettere anche sul loro ruolo dei media nel comunicare l’urgenza della crisi ambientale. Perché se è vero che il cambiamento climatico è una sfida globale, è altrettanto vero che la nostra percezione del problema – e quindi la nostra reazione – dipende da come questa crisi viene raccontata.

Un mondo sommerso: la metafora della crisi climatica

In Flow, l’umanità è scomparsa. Le città sono sommerse dall’acqua, i resti del nostro passaggio sulla Terra affondati sotto la superficie. Il film non spiega cosa sia successo, ma il messaggio è chiaro: l’equilibrio ecologico è stato alterato, e la natura ha ripreso il suo spazio.

Questa scelta narrativa non è casuale. L’assenza dell’essere umano non solo rende il racconto universale – svincolandolo da contesti geografici o culturali specifici – ma invita anche a riflettere su un futuro possibile se non agiamo in tempo. Il mondo di Flow potrebbe essere il nostro domani, un pianeta trasformato dall’innalzamento del livello del mare e dagli eventi climatici estremi che già oggi colpiscono milioni di persone.

L’acqua, elemento onnipresente, diventa così il simbolo di un ecosistema fuori controllo, ma anche della necessità di adattamento. Il gatto protagonista, costretto a lasciare la propria casa dopo una devastante inondazione, incarna la condizione di chi si trova a dover ricominciare altrove a causa della crisi climatica.

Questo fenomeno esiste già e si chiama migrazione climatica. Il viaggio in barca che il gruppo di animali affronta ne è un richiamo immediato. Il cambiamento climatico non colpisce solo l’ambiente, ma ridefinisce anche i confini e le condizioni di vita delle comunità umane e animali.

Il ruolo dei media: quanto è urgente la crisi climatica? Dipende da come la raccontiamo

Uno degli aspetti più interessanti di Flow è che, pur essendo un film senza dialoghi, nella sua natura di prodotto mediatico ci pone indirettamente una domanda cruciale: quanto conta il modo in cui il cambiamento climatico viene raccontato dai media?

Nel mondo reale, l’attenzione dell’opinione pubblica su questo tema è fortemente influenzata dai media. Quando un’alluvione distrugge intere città, per settimane si parla di emergenza climatica, ma appena i riflettori si spostano su altro, la percezione dell’urgenza si affievolisce. I dati scientifici ci dicono che siamo in una crisi permanente, ma il racconto mediatico spesso la trasforma in un’emergenza momentanea.

Flow, con la sua narrazione visiva e simbolica, ci ricorda che non servono parole per comprendere la gravità della situazione. Basta guardarsi intorno. I media – cinema compreso – hanno il compito di mantenere alta l’attenzione, di non relegare la crisi climatica a una notizia occasionale, ma di renderla parte di un racconto costante, che aiuti le persone a comprendere la portata del problema e a sentirsi coinvolte nel cambiamento.

Collaborazione e convivenza: nessuno si salva da solo

Oltre al tema ambientale, Flow trasmette un altro messaggio fondamentale: di fronte a una crisi globale, la sopravvivenza dipende dalla capacità di collaborare.

Nel corso della storia, il gatto protagonista incontra altri animali – un cane labrador, un capibara, un lemure e un rapace ferito – ognuno con caratteristiche e attitudini diverse. Inizialmente diffidenti l’uno verso l’altro, imparano a unire le forze per superare gli ostacoli e adattarsi al nuovo ambiente.

Questa dinamica riflette il mondo reale: davanti a una sfida come il cambiamento climatico, non possiamo permetterci divisioni o individualismi. Servono soluzioni collettive, strategie condivise e un nuovo modo di pensare la convivenza tra esseri umani, tra popoli e tra specie. Non è un caso che il regista, alla cerimonia degli Oscar, abbia dichiarato: “Siamo tutti sulla stessa barca”.

Flow è un monito, ma anche un invito all’azione

Ciò che rende Flow un’opera così potente è la sua capacità di comunicare un messaggio di emergenza senza cadere nel catastrofismo. Il film non punta sul senso di colpa, ma sulla consapevolezza. La sua estetica evocativa, con scenari fluidi e una colonna sonora immersiva, trasforma il racconto in un’esperienza sensoriale che rimane impressa. La bellezza delle immagini contrasta con la gravità del tema, creando un equilibrio tra denuncia e speranza.

Flow ci dice che il cambiamento climatico non è un futuro lontano, ma una realtà già in atto. Tuttavia, il messaggio finale non è di resa, ma di possibilità: se impariamo a convivere, ad ascoltarci e ad agire insieme, possiamo ancora cambiare la rotta.

Il cinema, come i media in generale, ha il potere di influenzare la percezione collettiva e di stimolare il dibattito. Il successo di Flow dimostra che l’importanza di saper raccontare storie che parlano della crisi climatica in modo autentico ed emozionante. Sta poi a noi decidere cosa farne di questo messaggio.

Micol Burighel