Quando il greenwashing è involontario. In Italia 2 dirigenti su 5 ammettono di esserci caduti
Mentre la sostenibilità subisce qualche rallentamento, i manager italiani rimangono convinti della sua centralità. Nonostante qualche errorino di comunicazione…
La sostenibilità è ancora la priorità numero uno all’interno delle aziende? Nonostante continui a tenere il podio, l’attenzione ai temi ESG sembra essere passata al secondo posto in Italia: lo conferma la seconda edizione dello studio annuale sulla sostenibilità commissionato da Google Cloud a The Harris Poll. Ma non finisce qui: la ricerca rivela anche una profonda preoccupazione rispetto ai fenomeni di greenwashing. Solo in Italia, infatti, più di 2 dirigenti su 5 ammettono di aver comunicato i temi di sostenibilità in maniera imprecisa o con troppo entusiasmo rispetto alle effettive azioni messe in campo.
La situazione italiana tra rallentamenti e incertezze
Lo studio di Google Cloud e The Harris Poll analizza l’impegno delle imprese sulla sostenibilità attraverso una survey che coinvolge oltre 1.400 dirigenti di alto livello in 16 Paesi, Italia compresa. E in tutti i Paesi analizzati, gli intervistati segnalano un ridimensionamento del peso dei temi di sostenibilità in azienda, passati al terzo posto come priorità a livello globale (in Italia è scesa al secondo posto). I motivi? La maggior parte dei dirigenti attribuisce questo cambiamento al contesto macroeconomico, tra crisi energetica, tensione internazionale e inflazione, ma anche alle pressioni esterne esercitate sulle prime linee aziendali per massimizzare i ricavi a discapito delle iniziative ESG e ottimizzare i rapporti con i clienti.
Questa situazione non può dirsi una sorpresa. La lettera di Larry Fink di inizio anno – notevolmente in ritardo – già lasciava intuire un rallentamento. Il Ceo di BlackRock, rivolgendosi agli investitori, ha usato toni molto contenuti per parlare di sostenibilità rispetto agli anni precedenti, sostenendo sì la necessità di avere una visione di lungo periodo, ma esponendosi meno: “non siamo la polizia ambientale”.
Il greenwashing e la necessità di una sostenibilità più concreta
Più che la volontà sembrano mancare i mezzi. L’84% dei dirigenti è ben consapevole della necessità di investire in servizi e brand sostenibili, premiati dalle scelte dei consumatori. Allo stesso tempo, il 71% si trova a dover gestire un calo delle risorse economiche dedicate al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità.
A queste difficoltà fanno da contraltare le preoccupazioni relative alla misurazione dei risultati e alla loro comunicazione. L’88% degli intervistati è convinta che la sostenibilità dovrebbe essere vissuta in maniera più concreta e non solo come un semplice strumento di marketing o comunicazione. Il greenwashing, in particolare, è vissuto come un fenomeno subdolo e diffuso, molto spesso involontario (Rossella Sobrero nel suo libro Verde, anzi verdissimo in questi casi parla di peccati “veniali”) e legato alla mancanza di strumenti più accurati per la misurazione. Così, più di 2 dirigenti italiani su 5 (43%) ammettono di aver fatto greenwashing nella propria comunicazione, sovrastimando o diffondendo in modo impreciso le azioni di sostenibilità.
Un dato, quello relativo al greenwashing, che fa capire come la comunicazione della sostenibilità – una comunicazione trasparente e autentica, ancorata a dati e risultati tangibili – non sia affatto un tema ancillare ma al contrario sia un aspetto che incide profondamente sulle dinamiche imprenditoriali. Quando mancano competenze in questo ambito i rischi sono due: comunicare in maniera impropria oppure non comunicare del tutto, chiudendosi nel silenzio.