Fiona Bennie, responsabile sostenibilità a Dragon Rouge
I proprietari di brand tendono ad avere orizzonti temporali piuttosto brevi: di solito le proiezioni non vanno oltre un ciclo di otto trimestri o al massimo si arriva a una strategia triennale.
Oggi, l’innovazione nella stragrande maggioranza dei casi è di tipo incrementale, alimentata spesso da intuizioni relative ai consumatori basate esclusivamente sui comportamenti del passato. Le buone idee vengono spesso cestinate in quanto non si inquadrano comodamente in una categoria prestabilita o in una mentalità di mainstream. Quelle più sfidanti che riescono ad arrivare alle fasi di ricerca e test rischiano di essere scartate dai consumatori, i quali naturalmente preferiscono stare con quello che conoscono già.
Ma se qualche idea riesce a superare questo processo precario, che cosa succede? La maggior parte non sopravvive: il tasso di fallimento varia dal 75{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} al 95{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622}, dicono le statistiche. Qualcosa in questo sistema di rapido incrementalismo (metodo lavorativo basato su tante piccole modifiche aggiuntive spesso non anificate, piuttosto che su pochi grandi salti, accuratamente pianificati) non funziona. Una mancanza di lungimiranza o di fiducia? O entrambi?
Con poche evidenze di brand che realizzano un futuro di lungo termine, l’anno scorso abbiamo iniziato un viaggio sperimentale. Abbiamo preso in considerazione cinque brand famosi e abbiamo immaginato come potrebbero essere nel 2030. EasyJet diventa il principale operatore ferroviario europeo, con un servizio di alta velocità e comfort superiore; Argos introduce un articolato sistema di home leasing conveniente; Primark è all’avanguardia nel settore della fast fashion (tipologia di distribuzione commerciale che accelera il passaggio dei capi di alta moda dalle passerelle agli store commerciali), curata digitalmente; Morrisons abbandona i supermercati in periferia per rivoluzionare il centro città; Rio Tinto è leader mondiale nell’estrazione in superficie, riqualificando e ripotenziando i metalli e la plastica. Entro il 2030 i modelli di business avranno cambiato l’orientamento dalla proprietà e dall’obsolescenza pianificata all’accesso e alla convenienza.
Nell’ultimo anno, questi concetti hanno alimentato molte conversazioni e progetti interessanti con i direttori marketing, molti dei quali scalpitano per guardare oltre l’attuale pipeline e i consolidati modelli di business. Ecco di seguito quanto abbiamo imparato strada facendo.
La lungimiranza non è una distrazione
Proporre a un brand di pensare al proprio ruolo nel 2030 sembra un grande rischio. Potrebbe costituire una distrazione dalle decisioni a breve, dal lavoro di tutti i giorni. Il direttore marketing rischia di essere accusato di avere la testa tra le nuvole.
Ma in realtà sapere in quale direzione va il brand e perché, consente ai direttori marketing di pianificare e di innovare con fiducia. L’attuale focalizzazione sullo “scopo” del brand è, in gran parte, l’espressione di un desiderio di avere un obiettivo verso il quale guidare attività coerenti con un chiaro senso di direzione.
L’articolazione semplice del futuro di un brand risolve molti problemi
La strategia di business, la strategia di brand, il design, la sustainability, la R&S e l’innovazione sono spesso comparti stagni nelle imprese. Le strategie di un anno non sempre si sommano alle strategie quinquennali. La R&S spesso finisce per insistere sulla tecnologia, anziché risolvere i problemi. E raramente si vede una correlazione tra la strategia di brand e la strategia di sostenibilità.
Una visione di brand di lungo termine fa molto. E una visione con contributi dalle diverse parti fa ancora di più. Un’articolazione creativa, visualmente convincente della direzione futura di un brand pone un obiettivo cui tutti possono mirare e un incentivo alla collaborazione.
I direttori marketing vogliono lasciare un’eredità positiva
Generalmente, il ruolo del direttore marketing non dura molto. Nel corso di un decennio lavora su numerosi brand in categorie diverse. Come i politici, molti direttori si trovano sotto pressione per dare la priorità a successi veloci di breve termine. Poi si spostano e ripartono da zero.
Ma non tutti sono così. Abbiamo conosciuto molti brand managers che, nel breve periodo in cui lavorano su uno specifico brand, vogliono creare un’eredità durevole e lasciare un pipeline di innovazione sana e una strategia di brand di lungo termine che guardino oltre il profitto incrementale.
L’innovazione del modello di business è un’opportunità di brand
Non è facile per le imprese investire nell’innovazione del modello di business. E’ un tema problematico. E’ un esercizio che richiede piena convinzione e che costringe a esplorare, se non addirittura ad allargare, i propri confini. I professionisti della sostenibilità parlano molto dei modelli di business e del bisogno di modelli nuovi. Perché i brand non sono insostenibili, ma lo possono essere i modelli di business. Se un brand deve creare valore nel lungo termine, è necessario slegarlo da uno specifico modello di business ed estenderlo verso nuove aree.
E’ logico che i brand alimentino questo tipo di innovazione, perché sono definiti dalle esigenze cui rispondono e dai benefici che offrono – non dagli attuali prodotti o servizi.
Può non essere facile per le divisioni marketing trovare il tempo per guardare avanti di uno o due decenni, ma tra quelle che lo hanno fatto non abbiamo ancora trovato qualcuno deluso. Nel migliore dei casi il processo rivela numerose opportunità per il brand e un senso rinnovato di direzione ed intenzione – nel peggiore dei casi stimola il dibattito. E una buona dose di dibattito è sempre meglio della monotonia dell’incrementalismo.
http://www.theguardian.com/sustainable-business/future-brands-role-of-marketer