Il suo nome è legato alla nascita e allo sviluppo di due importanti enti privati inglesi, la Young Foundation e il National Endowment for Science, Technology and the Arts (Nesta), che si collocano a metà strada tra charity, think thank e social investor. Director of Policy e director dello “Strategy Unit” del governo Blair e considerato uno dei policy maker più innovativi d’Europa, Geoff Mulgan è visiting professor in diversi college d’eccellenza e autore di alcuni saggi tra cui “The Locust and the Bee” uscito il mese scorso.
Giovedì 4 aprile è stato ospite di Meet The Media Guru, il programma di incontri sulla cultura digitale internazionale, ormai divenuto punto di riferimento nella scena milanese, per parlare di “Connexity, social innovation e impact investment”.
Il racconto della serata secondo Elisabetta Corrà.
Geoff Mulgan la prende da lontano, pescando dal cilindro api e predatori per raccontare come i social network siano gli attori principali dell’innovazione sociale. Le api creative sono braccate dalle “locuste” del pessimismo e in cerca di un albero che sostenga il loro potenziale. Questa è per Mulgan la migliore metafora della civiltà globale del III millennio dove il futuro è, purtroppo, ampiamente “sotto-esposto”. La crisi economica, la recessione e la minaccia climatica hanno indotto un fatalismo pernicioso, che, accarezzando la fantasia di una apocalisse prevista come prossima, sottovaluta il patrimonio di innovazione radicato nelle nostre società iper-connesse.
Geoff Mulgan è considerato un guru della social innovation. Giovedì 4 aprile era a Milano, invitato da Meet The Media Guru (#MMGMULGAN) con il compito di spiegare come la connettività globale tra reti e media stia già cambiando il concetto di innovazione, con forti ricadute sociali. Lʼidea centrale dellʼapproccio di Mulgan è che per la prima volta nella storia il cambiamento creativo non nasce in alto, tra elite intellettuali, ma dal basso, secondo un processo di democratizzazione della conoscenza e delle sue applicazioni molto simile al crowfunding: molte persone sono direttamente coinvolte nel produrre idee e soluzioni, condivise su larga scala.
Non corrisponde dunque più a realtà che i grandi numeri (investimenti faraonici, aziende multinazionali, team di lavoro a due cifre) siano la chiave del successo: per progettare qualcosa di nuovo, che sia anche un bene collettivo, oggi basta la rete. I social network sono un moltiplicatore di opportunità, perché potenziano i flussi di informazioni, rendendole immediatamente disponibili. A Londra, gli abitanti del quartiere di Sutton si sono organizzati per condividere i propri libri su una piattaforma on line simile ad Amazon, a sua volta connessa con la public library. Lo scambio culturale promuove i legami tra persone altrimenti estranee tra loro: anche la sanità e la medicina possono sfruttare, nelle politiche di prevenzione, la condivisione di informazioni tra utenti/pazienti connessi e disponibili al supporto reciproco. Altri esempi di network sono i citizen reporter, le reti di recupero dei rifiuti e degli alimentari scaduti ma ancora commestibili, lo zero carbon housing, il fund raising etico.
Mulgan insiste sul fatto che esiste già un mercato maturo per finanziare le “social venture” ossia iniziative imprenditoriali ispirate al concetto di rete e orientate al benessere della collettività (ad esempio: Bethnal Green Ventures, Bridges, CrowCube e da noi Banca Etica). Secondo Mulgan il pessimismo dilagante nella nostra vecchia Europa non centra il bersaglio perché passa sotto silenzio il “senso della possibilità”, lʼimprevedibile cigno nero che rimescola le carte in tavola e fa affiorare lʼinedito nella trama del quotidiano. Da questo punto di vista lʼinnovazione è essenzialmente un cambiamento di prospettiva, una uscita dal solipsismo e un ingresso trionfale nel “comunismo” della rete, cioè della condivisione di contenuti. Nessuno sarà escluso, anzi tutti sono attori della storia con la s maiuscola.
Il talk di Mulgan, indubbiamente interessante, suscita però qualche interrogativo: davvero la comprensione delle dinamiche globali, e quindi le soluzioni a problemi sistemi come il global warming, può passare attraverso una liberalizzazione sfrenata delle informazioni? Aumentare il flusso di news produce inequivocabilmente una maggiore capacità di leggere fatti, scoperte scientifiche, processi economici? Mulgan ci ha insomma lasciati con una spiacevole sensazione, che le semplificazioni eccessive, per quanto ottimistiche, gravino un po’ʼ troppo sulla entità delle questioni aperte. In altre parole: non sarà che la vera innovazione è il recupero del “pensiero della complessità” di Edgar Morin?
di Elisabetta Corrà
Green Consultant Free Lance – Climate Change, Blue Economy and Conservation