Il “Green Future Index 2022” del MIT lancia l’allarme: cresce troppo lo spread green
La ricerca del MIT analizza la situazione di 76 economie globali che rappresentano il 95% del PIL del pianeta. La seconda edizione evidenzia un divario in crescita tra Europa e resto del mondo.
Esiste un ranking per la sostenibilità globale? O, meglio ancora, esiste un indice che analizzi l’impegno degli Stati mondiali verso la transizione green? Grazie alle ricerche svolte dal MIT di Boston è stato creato l’anno scorso un primo indice chiamato “Green Future Index” che stila una classifica globale, analizzando fattori quali l’emissione di carbonio, l’avanzamento della transizione energetica (prendendo in considerazione, ad esempio, i dati relativi agli investimenti sulle rinnovabili) e le politiche climatiche dei vari Paesi.
I valori ottenuti nel 2021 sono stati aggiornati quest’anno con la seconda edizione. Confrontando i dati attuali con quelli dell’anno precedente si ottiene così una prima istantanea di come si sta evolvendo l’impegno degli Stati verso un futuro più sostenibile. L’edizione 2022 del Green Future Index evidenzia una forte crescita dello spread “green” – ossia del divario di impegno verso la transizione ecologica dei vari Paesi – tra nazioni occidentali e gli altri Stati nel resto del mondo.
Qual è la situazione attuale?
La corsa verso un futuro a basso impatto carbonico e a maggiore efficienza energetica prosegue: a trainare i risultati mondiali è l’Europa. Classifica alla mano, le prime 9 posizioni sono occupate proprio dagli Stati del Vecchio Continente (Islanda, Danimarca, Olanda, UK, Norvegia, Finlandia, Francia, Germania e Svezia) e soltanto al decimo posto si incontra il primo Paese extra-europeo, la Corea del Sud (che comunque è balzata in avanti di 21 posizioni rispetto al 2021). Da segnalare nella top 10 i miglioramenti dell’Olanda (+7 posizioni), del Regno Unito (+13) e della Germania (+3).
La classifica
Nonostante i miglioramenti sopracitati, ci sono anche nazioni che rispetto all’anno precedente sono scese in classifica. Alcuni casi sono comprensibili, in quanto molti Paesi ecologici sono stati “scalzati” da Stati più virtuosi (vedi Norvegia e Francia). Altri invece sono decisamente più preoccupanti perché rischiano di produrre un’inversione di tendenza verso i vecchi sistemi inquinanti. Tali casi si trovano soprattutto in Asia (vedi India, Thailandia e Kazakistan), in Africa e nell’America del Sud.
Esistono poi esempi nella zona intermedia della classifica che sono degni di nota. Partiamo dall’Italia, che è passata dalla ventunesima alla diciassettesima posizione, spiccando in due voci (“Società Verde” e “Politica Climatica”) e arrancando in altre tre (“Innovazione Pulita”, “Emissioni di Carbonio” e “Transizione Energetica”). Passiamo poi alla Grecia. Nonostante i problemi economici, in un solo anno i greci sono passati dalla trentasettesima alla ventiduesima posizione grazie alla scelta di destinare il 30% dei fondi europei alla transizione energetica. Concludiamo al di fuori dell’Europa con Cina e Taiwan, non certo conosciute per le loro politiche green ma che rispetto al 2021 hanno guadagnato rispettivamente 19 e 9 posizioni.
I prossimi passi per l’Italia e per il mondo
Sebbene l’Italia sia migliorata, è più che mai importante mantenere gli accordi per i prossimi anni: gli impegni presi con il Pnrr sono ambiziosi e se rispettati possono far fare il salto di qualità al nostro Paese. È ora il momento di dimostrare che possiamo raggiungere quanto promesso. A partire dalla semplificazione delle procedure nelle rinnovabili, passo necessario più che mai per il successo della transizione ecologica, soprattutto alla luce dell’enorme impatto che la crisi energetica provocata dalla guerra tra Russia e Ucraina avrà nei prossimi mesi.
La crisi delle forniture di gas e petrolio, infatti, sta facendo ripartire la macchina degli investimenti “inquinanti” in tutto il mondo. Gli esperti del MIT lo rilevano mettendo in fondo alla classifica del Green Future Index tre colossi nella produzione di idrocarburi come Qatar, Algeria e Iran, che stanno approfittando della situazione geopolitica per aumentare le vendite di petrolio e gas ed eliminare un concorrente scomodo come la Russia.
La guerra e la pandemia stanno impattando in modo negativo sulla transizione ecologica. Tutto ciò è evidente dalle ricerche del MIT ma è percepibile anche nella vita quotidiana: è difficile essere sostenibili nel lungo periodo quando esistono problemi economici nel breve termine. Per far fronte a questa situazione è necessario un cambio di prospettiva. Non dobbiamo considerare questa situazione come un rallentamento alla corsa “green” bensì come un’opportunità unica per aprirci al cambiamento, diventando un passo alla volta (ma con costanza) più rispettosi verso le persone e l’ambiente.