di Sergio Vazzoler
Creare consenso significa convincere gli stakeholder su un progetto che è già stato deciso, mentre partecipazione significa discutere con gli stakeholder su un progetto preliminare per accogliere (o rigettare) modifiche e interventi sul progetto stesso in modo che sia condiviso tra proponente e stakeholder. Come fare? Questo il tema al centro del vivace e interessante dibattito “Consenso o Partecipazione?”, svoltosi nell’ambito del Salone della CSR e dell’Innovazione Sociale di Milano.
Introdotte da Emilio Conti, socio Ferpi e comunicatore ambientale, di seguito le principali risposte e suggestioni emerse dai relatori, a cui aggiungo una mia rilettura in frasi-chiave.
Antonello Martino, responsabile ambiente di Italferr, parte subito all’attacco: “Dobbiamo fare i conti con la realtà italiana, costellata di una serie infinita di progetti dormienti a causa di iter che durano oltre 30 anni, impedendo di fatto un percorso progettuale continuativo e allargato. Le cause sono tante e varie ma certo il nodo centrale rimane il mancato ruolo della P.A.: tutti sappiamo che se tira una brutta aria su un progetto da parte dell’opinione pubblica, i funzionari degli enti locali e di controllo rimandano la decisione o si rimangiano decisioni precedenti o addirittura fermano tutto”.
“ok alla partecipazione ma qui il vero problema è la realizzazione!”
Patrizia Rutigliano, Presidente di Ferpi, pone in evidenza l’illogicità del contesto in cui anche i comunicatori si muovono: “I processi di partecipazione per essere tali devono partire insieme ai progetti preliminari, in caso contrario sono controproducenti. Ma il quadro di regole è fondamentale. Oggi sappiamo che una Legge sul Dibattito Pubblico è in stato di avanzamento a Roma ma se prima non si riforma il Titolo V della Costituzione che regola le competenze di governo centrale e Regioni, difficilmente la nuova legge potrà essere efficace. Da noi i tavoli tecnici sono aperti a molti, anzi a troppi soggetti che si qualificano come stakeholder ma che in realtà non lo sono, inficiando i risultati di tali tavoli, che al contrario dovrebbero essere dotati di strumenti operativi e tempi decisionali ben definiti. A questo si aggiunge una politica che a Roma presenta 2.200 emendamenti alla Legge “Sblocca Italia” e che nei territori chiede alle imprese di non comunicare perché è compito delle istituzioni, salvo fare spesso e volentieri retromarcia in base ai sussulti delle maggioranze e all’approssimarsi delle elezioni”.
“la comunicazione sui territori è una cosa seria e ha bisogno di una cornice autorevole per essere efficace”
Walter Sancassiani, Responsabile di Focus Lab, porta il contributo del “facilitatore”: “Nella maggior parte dei progetti che hanno un qualche impatto sul territorio, si crea un cortocircuito dove tutti si lamentano di non essere stati coinvolti. Certo, nell’ultimo decennio, le tecniche per rendere la partecipazione più efficace rispetto ai semplici tavoli tecnici hanno fatto importanti progressi ma il cortocircuito può essere superato soltanto introducendo regole chiare ed esplicite insieme alla certezza dei tempi: è così che al termine del percorso ciascun partecipante ci guadagna qualcosa rispetto al punto di avvio”.
“la sindrome Nimby si supera introducendo un’analisi costi/benefici sulle dimensioni economiche, sociali e ambientali”
Pietro Paganini, Docente in Business Administration alla John Cabot University e fondatore di Competere.eu, introduce un aspetto assai noto e presente nel dibattito a stelle e strisce e invece ancora poco battuto in Italia: “La differenza nei processi di partecipazione la fanno i dati: tramite la loro raccolta e analisi è possibile profilare e conoscere in profondità i nostri interlocutori. Si pensi a quanto è avvenuto in politica con la campagna di Obama e cosa sta emergendo oggi per la scelta del prossimo candidato democratico alla Casa Bianca: Hillary Clinton non è nient’altro che la risposta al profilo di “nonna d’America”. Ebbene, anche per il consenso dei progetti industriali e infrastrutturali occorre passare dalle opinioni ai dati scientifici che i device digitali ci offrono in grandi quantità: ma per interpretarli e usarli nel modo giusto, stando attenti anche ai rischi, è urgente investire in formazione”.
“l’idea di community in Italia è (mal) declinata con il concetto di bande e amici del quartierino”
Stefano Cianciotta, docente all’Università degli Studi di Teramo, rilancia sul tema introdotto da Paganini: “L’esempio emblematico di come i dati possano fare chiarezza ed essere in grado di spostare l’andamento degli iter progettuali è rappresentato da quanto è successo per la vicenda TAP (il gasdotto transadriatico osteggiato da diversi comitati del no in Puglia ma anche da alcune amministrazioni locali). In questo caso sono stati proprio i dati di una ricerca sulla percezione dei residenti e turisti nelle località balneari dove è presente un gasdotto a rilevare come questo non sia un problema per la vita quotidiana. E immediatamente dopo abbiamo assistito a un’accelerazione dell’iter da parte del Ministro dell’Ambiente Galletti e la presa di posizione pubblica da parte del Premier Renzi”.
“non è solo la P.A. a scontare un ritardo culturale. Anche le associazioni degli imprenditori stanno facendo troppo poco per sensibilizzare e formare i manager sulla cultura della comunicazione al territorio”
Isabella Manfredi, Responsabile Comunicazione e CSR di Feralpi, racconta una storia che sembra quasi fantascienza in questo contesto: “La nostra acciaieria in provincia di Brescia, si colloca in un territorio caratterizzato non certo dall’industria ma dall’agricoltura e dall’allevamento. Di qui l’idea, risultata vincente, di utilizzare le acque di raffreddamento delle lavorazioni siderurgiche per l’allevamento di storioni. Certo, all’inizio erano tutti quanti molto arrabbiati con noi ma grazie a una comunicazione diffusa e alla decisione assunta insieme agli stakeholder del territorio in merito alla collocazione delle vasche per l’allevamento, alla fine ce l’abbiamo fatta. Non solo: oggi siamo il primo allevatore al mondo di storioni in cattività e produciamo circa il 20{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} del caviale a livello mondiale! Certo gli iter in Germania, dove siamo presenti, non sono nemmeno paragonabili a quelli italiani ma questa storia dimostra che anche da noi qualcosa d’importante si può e si deve fare”.
“cosa ci vuole per solcare la strada della sostenibilità all’interno di una cornice nazionale così complessa e frammentata? Le 3C: Coerenza, Competenza e Coraggio”