Tim Smedley La questione dell’accesso globale all’acqua è quanto mai problematica. Ancora oggi, circa 768 milioni di persone – più della popolazione dell’Europa – non hanno accesso all’acqua pulita. Inoltre, il Millennium Development Goal per il 2015 che si prefissava di dimezzare il numero di persone senza servizi igienici mancherà l’obiettivo dell’8 per cento. La soluzione tradizionale delle organizzazioni di beneficienza è quella di arrivare, realizzare un pozzo e poi ripartire, dando per scontato di aver risolto il problema. Jenny Lamb, un ingegnere sanitario che lavora con Oxfam, spiega che in mancanza di formazione adeguata o di un’infrastruttura commerciale che sostenga la manutenzione, le pompe “spesso si trascurano e poi diventano inutilizzabili”. Ma oggi vi sono segnali di una convergenza crescente, tra il mondo del business, le Ong e le organizzazioni di beneficienza attive nell’area WASH, intorno a un modello sul quale tutti concordano: l’impresa sociale. Un nuovo rapporto multisettoriale, intitolato Water for Women, porta alla ribalta le imprese sociali nel settore acqua che offrono posti di lavoro a livello locale e reinvestono gli utili nella manutenzione. Una prova sperimentale lanciata in Nigeria nel dicembre 2014, con il supporto di Oxfam e del brand di detersivi Unilever Sunlight, ha realizzato due centri d’acqua in due comunità urbane, dove l’acqua si pompa e si vende a costi bassi, assieme a prodotti alimentari e casalinghi. Hanneke Willenborg, vice-presidente di Sunlight, descrive le imprese sociali come “fari del cambiamento. Sono flessibili, imprenditoriali… e garantiscono l’esistenza di un grande interesse per la loro sopravvivenza visto che tanti stipendi e redditi ne dipendono”. Unilever non sarebbe in grado di creare le imprese sociali senza l’aiuto delle Ong, dice Willenborg, “perché servono diverse capacità. Noi siamo bravissimi nel branding, nella commercializzazione, ma non abbiamo le capacità per formare le persone sul campo, per realizzare le strutture di pagamento, per gestire la manutenzione degli impianti… che invece offrono le Ong”. Un’altra nuova impresa sociale WASH è NextDrop in Bangalore, India. In molte città dell’Asia meridionale, la fornitura dell’acqua è intermittente, disponibile anche solo per 45 minuti al giorno, e a volte non arriva proprio. NextDrop gestisce un servizio Sms che ogni giorno informa gli utenti a che ora l’acqua sarà disponibile. Il servizio, gratuito per gli utenti, è pagato dalle utility, che a loro volta ricevono dati sugli utenti da NextDrop. Il servizio opera a Bangalore, Hubli-Dharwad e Mysore. “In una città come Hubli-Dharwad, le donne si trovano a passare circa 20 ore al mese in attesa dell’acqua”, dice l’AD di NextDrop, Anu Sridharan. In tutta l’India, si stima che le donne passano 150 milioni di giorni lavorativi all’anno per andare a prendere l’acqua e portarla a casa. Sridharan e i suoi co-fondatori esaminarono la possibilità di creare un’organizzazione di beneficienza, ma decisero che “la forte crescita e i grandi volumi sono molto funzionali per il modello a scopo di lucro rispetto al modello non a scopo di lucro che dipende dai sussidi”. La portata della sfida, dice, lo ha imposto. A differenza di quanto si potrebbe aspettare da una Ong internazionale, anche WaterAid sposa questo punto di vista. Timeyin Uwejamomere, direttore per il supporto tecnico urbano a WaterAid, afferma che “per raggiungere l’accesso universale dobbiamo allontanarci dall’approccio beneficienza … che dà le cose alle persone, e cercare piuttosto di fare sì che le persone investano per sé stesse. Quindi, l’investimento nelle imprese sociali in particolare contribuisce a garantire la sostenibilità dei servizi, perché queste imprese sanno tenere la contabilità, mantenere gli impianti e comunicare con i clienti”. Chiaramente, la partecipazione delle corporation, non è del tutto disinteressata. Nelle aree dove l’accesso all’acqua è difficile, la domanda per i prodotti Unilever è bassa. I mercati alla base della piramide rappresentano $5 mila miliardi di reddito disponibile non sfruttato e un’opportunità di crescita enorme. Persino Oxfam adotta questo tipo di terminologia. “Una volta organizzavamo una fornitura ‘in natura’, cioè aiuti assistenziali”, dice Lamb. “Oggi invece stiamo spingendo su un approccio ‘cash in markets’ – ad esempio, piuttosto che spostare i beni dall’Europa verso l’Africa, il nostro obiettivo è lo sviluppo dei mercati locali”. Le imprese sociali sono gli “esploratori per il nostro business” dice Willenborg. I centri d’acqua già vendono i prodotti Unilever oltre all’acqua. “Non credo che dobbiamo chiedere scusa del fatto di fare soldi”, aggiunge. “Per me la vera sfida è il contrario – come facciamo per rendere più redditizi questi modelli? Perché è certo che si riuscirà a coinvolgere un numero maggiore di persone quando si tratta di fare soldi”. Ammette che due soli centri d’acqua “non costituiscono un modello replicabile”. Si spera di realizzarne 20 entro metà 2016, “e a quel punto potremo dire di essere pronti per ripetere il modello in altri paesi. Ma… la realizzazione di piccole imprese sociali collegate a punti di accesso all’acqua è un’idea scalabile”. Separatamente, Oxfam e WaterAid stanno collaudando chioschi d’acqua sperimentali in Uganda, Kenya e Cambogia; l’acqua si paga con biglietti e un sistema di buoni prepagati simile a quello di un telefono prepagato. E’ ancora troppo presto per valutare appieno le prove pilota, dice Lamb, ma ritiene che “si tratta di un processo di sviluppo dal basso verso l’alto… Le imprese sociali operano ottenendo riconoscimenti, il sostegno della comunità, che poi può favorire il sostegno del governo e delle politiche nazionali”. Mentre il servizio Sms di NextDrop è orientato al consumatore, l’obiettivo ultimo di NextDrop è l’accesso globale all’acqua: “Il nostro modello di business model ruota attorno alle utility”, dice Sridharan. “Forniamo gli strumenti perché le utility realizzino una distribuzione più equa … una griglia intelligente, che raccoglie e fornisce informazioni”. A suo avviso, tale modello si potrebbe adottare anche in altri settori, come l’energia e i trasporti. WaterAid non vuole una maggiore diffusione di proprietà privata, dice Uwejamomere, “ma vogliamo più servizi pubblici gestiti in modo efficiente… le imprese sociali sanno gestirsi in modo efficiente, generano ricavi superiori ai costi e re-investono gli utili per fare crescere il business. Questo è ciò che vogliamo, e vogliamo che le utility governative si muovano in questa direzione anziché aspettare contributi da parte dei benefattori”. Fonte: http://www.theguardian.com/sustainable-business/2015/mar/22/social-enterprise-answer-access-water-ngo-business]]>