Adelino Cattani è docente di Teoria dell’Argomentazione dell’Università degli Studi di Padova e ha avviato una singolare iniziativa, basata sul piacere della discussione. È nata così la Palestra di Botta e Risposta, giunta al suo decimo anno di attività, un vero e proprio progetto di formazione al dibattito, che si attua in forma di torneo tra studenti, e che recentemente ha trovato ospitalità anche in Expo per una giornata di approfondimento. L’obiettivo, tutt’altro che banale, è quello di formare persone consapevoli e libere, coscienti ed autonome, capaci di elaborare punti di vista, difenderli e allo stesso tempo valutare le elaborazioni degli altri. Al centro della sua Palestra di Botta e Risposta c’è la riscoperta di pratiche della tradizione classica come la retorica, l’arte della disputa e del ragionamento. La società moderna ne sentiva la mancanza? In un mondo sempre più multiculturale e in un ambiente conflittuale come quelli attuali, le soluzioni o vanno imposte o vanno discusse. Il dibattito, la discussione, il confronto hanno un ruolo essenziale nella nostra esistenza, ma insignificante nei nostri pensieri: questi aspetti sembrano interessare poco e oggi nessuno insegna a dibattere. Esistono tante scuole di scrittura, ma mancano scuole di ragionamento, che è qualcosa che dovrebbe essere preliminare allo scrivere. Quando c’è una disputa, solitamente non c’è una ragione che si contrappone a un torto, ma ci sono due ragioni. Occorre la capacità di metterle a confronto e di spiegarle. Tra l’altro ciò è qualcosa che appartiene alla nostra cultura. La retorica è nata nella Magna Grecia, la disputatio nel Medioevo, poi per ragioni comprensibili, legate al fatto che la retorica è divenuta un’attività di manipolazione piuttosto che di ideazione e di disposizione di argomenti, abbiamo perso queste pratiche, che invece sono sopravvissute oltreoceano, nell’ambito della formazione scolastica e professionale. Eppure la tv è piena di dibattiti, o talk-show che dire si voglia, e spesso quello che si ascolta è tutt’altro che edificante. Dov’è l’errore? Gran parte dei dibattiti a cui assistiamo in tv sono pseudo dibattiti, che si portano dietro svariati limiti: sono troppo concitati, sono dispersivi e passano troppe informazioni in un unico momento. Inoltre le asserzioni sono poco motivate e fondate. Un altro limite consiste nel fatto che sono monologici; non c’è una retroazione, manca spesso una vera replica sul merito e ciascuno va avanti per la sua strada senza ascoltare. Infine c’è troppo aggressività, si assume come bersaglio l’avversario, piuttosto che le sue idee. Un buon dibattito dovrebbe essere qualcosa di civile e utile. Volessimo usare un vocabolo preso dalla terminologia edile, potremmo dire “edificante”: il dibattito dovrebbe essere qualcosa di costruttivo, un processo che, metaforicamente, fonda, erige, rafforza, magari demolendo e architettando contromosse, attraverso argomenti e contro argomenti. Il più delle volte invece il lessico del dibattito attinge alla terminologia bellica: attaccare, difendere, colpire, sparare, farsi scudo, capitolare… Le parole sono rivelatrici. Il tipo di verbi, di aggettivi e di sostantivi che vengono scelti per esprimere un concetto dicono tanto della personalità e dell’atteggiamento di chi se ne serve. Concretamente come funziona la sua Palestra e chi partecipa? Innanzitutto si chiama Palestra perché è un allenamento a un tipo di rapporto che poi sarà normale nella società civile, vale a dire il confronto tramite il dibattito. La Palestra si rivolge agli studenti delle scuole superiori, sotto forma di torneo, con finalità chiaramente formative. Da ottobre a gennaio facciamo formazione nelle classi e organizziamo simulazioni. Poi da febbraio a maggio svolgiamo un vero e proprio campionato, con eliminatorie delle squadre. I temi di discussione vengono imposti e tre giudici valutano qualità, quantità, pertinenza degli argomenti proposti dalle due squadre disputanti ed efficacia comunicativa. Il verdetto verte non sul merito della questione, ma sulla capacità dialettica delle controparti. Le squadre più brave arrivano alla finalissima. Esiste anche un torneo nazionale, la cui seconda edizione si è svolta a Padova gli scorsi 11-13 settembre, da cui è uscita magnifica vincitrice la squadra “Situazione Spinoza” del Convitto Nazionale Paolo Diacono di Cividale contro le validissime “L’Immacolata” del Collegio omonimo di Conegliano, la “Plus Ultra” del Liceo Leonardo da Vinci di Villafranca Lunigiana e “La Navicella dell’ingegno” del Liceo Pigafetta di Vicenza. Gli studenti universitari, invece, si organizzano in circoli di dibattito. Ciò a cui stiamo lavorando da alcuni anni è la formazione dei giudici. Occorre fissare criteri il meno opinabili possibili, affinché siano nelle condizioni di valutare l’esito di un dibattito. Questo ruolo potrebbe diventare addirittura una professione. C’è qualche aneddoto curioso accaduto durante uno dei suoi Botta e Risposta? Ho assistito a dibattiti davvero arguti e creativi. I giovani sono così, entusiasmanti e sorprendenti. Se il tema è il diritto degli animali, per esempio, introducono argomenti di tipo visuale, presentandosi con la paletta anti-mosche. Ricordiamo che quando si discute lo scopo, realisticamente, non è convincere l’interlocutore della propria idea, ma fare sì che chi ascolta (il pubblico, il potenziale elettore, ecc…) esca con le idee più chiare. I ragazzi ricorrono alla loro esperienza personale, a ciò che hanno vissuto e provato in determinate situazioni, e questo rende il dibattito sempre inaspettato e arricchente, soprattutto quando correttezza logica si combina con efficacia retorica. Lei lavora a stretto contatto con i giovani: quali sono le lacune più gravi che gli studenti si portano dietro dall’esperienza scolastica vissuta fino all’ingresso in università? Il loro è un sapere di tipo associativo, emozionale e dunque frammentario. E’ un sapere poco fondato, analogico. Questi sono anche i limiti che emergono dai test Invalsi sottoposti agli studenti della maturità. L’attività della Palestra cerca di rispondere un po’ a queste carenze riscontrate. Come valuta la riforma della scuola recentemente approvata? Posso dire cos’è per me una scuola buona o una buona scuola. Innanzitutto è quella che forma lo studente al pensare critico, a giustificare le proprie convinzioni con buone ragioni, in contraddittorio con altre ragioni, ad argomentare la preferibilità di una scelta, di una teoria, di un provvedimento, in un mondo che è sempre più controversiale. In secondo luogo la scuola deve abituare a convivere. Il dibattito fornisce gli strumenti per convivere con idee diverse, senza tralasciare l’aspetto conflittuale, che è molto importante, perché aiuta ad affrontare e abituarsi alla polemica. La polemica equivale ad un collaudo: se un’opinione regge alla critica, alla polemica, potrà ragionevolmente essere immessa nel mercato delle idee. A pensarci bene, però, una palestra di ragionamento farebbe bene anche agli adulti. Ha mai pensato di estendere il suo progetto? Si, con modalità diverse questo tipo di formazione può essere proposta a tutti i livelli, dall’asilo alla Scuola forense. Qualcosa in questo senso si sta muovendo: una nuova legge ha introdotto per gli avvocati l’obbligatorietà della formazione sulle tecniche argomentative ai fini dell’abilitazione professionale. Chi, come noi, si occupa di comunicazione è ben consapevole dell’importanza dell’argomentazione: quali consigli darebbe per crescere in questa ‘arte’? Esistono alcune regole semplici, ma importantissime, da rispettare in fase di argomentazione. Innanzitutto non affermare, o meglio, non dare mai per certo nulla di cui non siamo in grado di fornire una ragione, un motivo o una causa. Potremmo trovarci di fronte a qualcuno che contesta che Dante sia un grande poeta. Dobbiamo essere in grado di fondare la ragione per la quale riteniamo che lo sia. Non è sufficiente dire che Dante è una grande poeta, perché tutti lo amano. Nel dibattito, poi, occorre fissare pochi punti precisi della discussione, definire bene i termini della questione, ascoltare l’interlocutore e reagire alle sue mosse. Infine occorre mantenere l’attenzione sul merito della tesi e non farsi distogliere dall’interlocutore. È come per un calciatore: deve colpire la palla, non gli stinchi dell’avversario. Su questi argomenti consiglio la visione di due film. Il primo è della fine degli anni ’50, di Sidney Lumet: “La parola ai giurati“. E’ la storia di un giurato che, argomentando, salva la vita a un giovane accusato di omicidio, convincendo uno ad uno gli altri undici giurati colpevolisti che non è da condannare. Il secondo titolo è “Thank you for smoking“, film provocatorio del 2005 di Jason Reitman, in cui si contrappongono il portavoce di una multinazionale di tabacco e un senatore salutista. La storia dimostra come una tesi insostenibile ben argomentata, abbia la meglio su una tesi ragionevole non ben argomentata. E questo accade più spesso di quanto crediamo.]]>