Inclusione delle persone con disabilità: un valore ancora tralasciato sul lavoro
![Disabilità sul lavoro, il report Deloitte Disabilità sul lavoro, il report Disability Inclusion di Deloitte](https://www.talkingsustainability.it/wp-content/uploads/2025/02/Disabilita-sul-lavoro-il-report-Deloitte.png)
Oltre la diversità: perché l’inclusione è un fattore strategico e cosa ci dicono i dati dell’ultimo report Deloitte sulla disabilità.
L’inclusione delle persone con disabilità nel mondo del lavoro non è solo una questione di equità sociale, ma anche una leva strategica per le aziende. Creare un ambiente realmente inclusivo significa valorizzare il talento e le competenze di ogni individuo, migliorando il benessere organizzativo, la produttività e la competitività. Tuttavia, il divario tra buone intenzioni e realtà rimane significativo.
A testimoniarlo è il primo report Disability Inclusion @ Work 2024: A Global Outlook di Deloitte, che ha raccolto le esperienze di 10.000 lavoratori con disabilità, condizioni di salute croniche o neurodivergenza in 20 Paesi. I dati evidenziano ancora forti barriere all’inclusione, dalla riluttanza a dichiarare la propria condizione alla difficoltà nell’ottenere accomodamenti ragionevoli, fino alle esperienze di comportamenti non inclusivi. Ma emergono anche azioni concrete che le aziende possono intraprendere per colmare questo divario.
Disabilità e lavoro: il peso delle barriere invisibili
Uno degli aspetti più rilevanti del report riguarda la gestione della propria identità in azienda. Quasi il 90% degli intervistati ha scelto di rivelare la propria condizione almeno a una persona sul posto di lavoro o tramite un sistema di autoidentificazione aziendale. Tuttavia, questo non significa che la dichiarazione sia priva di conseguenze: solo il 35% ha scelto di informare colleghi di pari livello o meno senior, mentre il 78% si è rivolto alle risorse umane e il 73% al proprio diretto supervisore. Il 21% di chi ha dichiarato la propria condizione ha avuto esperienze negative, alimentando il timore diffuso che questa scelta possa compromettere la carriera.
La paura della discriminazione frena molte persone dal chiedere supporto. Tre lavoratori su quattro non hanno mai richiesto adattamenti o strumenti di lavoro specifici, spesso per il timore di essere percepiti negativamente dai superiori o per esperienze passate sfavorevoli. E chi si è esposto ha incontrato ostacoli concreti: il 74% di chi ha fatto richiesta si è visto negare almeno un accomodamento, spesso con la motivazione che fosse troppo costoso, difficile da attuare o irragionevole.
Lo smart working come leva di inclusione
Il lavoro da remoto si conferma un elemento cruciale per migliorare l’accessibilità e la qualità della vita delle persone con disabilità. Quasi la metà degli intervistati considera la propria casa più adatta alle proprie esigenze rispetto all’ambiente fisico dell’ufficio. Lavorare da casa permette di svolgere le proprie mansioni con maggiore facilità, di ridurre i rischi per la salute e di accedere immediatamente a cure o assistenza, senza le difficoltà logistiche che spesso accompagnano il lavoro in sede. Inoltre, limita le occasioni di discriminazione e molestie, fenomeni che ancora oggi incidono sulla quotidianità di molti lavoratori con disabilità.
Nonostante questi vantaggi evidenti, lo smart working non è un diritto acquisito. Solo il 9% delle persone con disabilità può lavorare da casa tutti i giorni, mentre una percentuale significativa deve concordarlo con i propri responsabili, spesso trovandosi di fronte a preferenze aziendali che favoriscono la presenza in ufficio, anche quando il lavoro da remoto sarebbe una soluzione praticabile.
Esclusione dagli eventi e microaggressioni: un problema diffuso
L’accessibilità nei luoghi di lavoro non riguarda solo le infrastrutture, ma anche la cultura aziendale. Il 60% degli intervistati ha dichiarato di aver perso almeno un evento o una riunione per barriere architettoniche o organizzative, come bagni inaccessibili o l’assenza di pause nei meeting. Ma l’ostacolo più insidioso resta il clima lavorativo.
Molti lavoratori con disabilità si trovano ad affrontare pregiudizi sulle proprie competenze e mancate opportunità di crescita. Più di un terzo ha visto la propria carriera bloccata o si è visto attribuire valutazioni negative non giustificate. Inoltre, il 41% ha subito episodi di microaggressioni, molestie o bullismo sul posto di lavoro, situazioni che troppo spesso non vengono segnalate per paura di ripercussioni o di una risposta inadeguata da parte dell’azienda.
L’inclusione in Italia: il divario tra istruzione e lavoro
Anche in Italia, l’occupazione delle persone con disabilità resta una sfida. Secondo l’ISTAT, solo il 33,5% delle persone con disabilità tra i 15 e i 64 anni ha un impiego, e chi lavora ricopre meno frequentemente ruoli apicali.
Sul fronte dell’istruzione, invece, si registrano progressi significativi. Secondo l’ANVUR, il numero di universitari con disabilità è quadruplicato negli ultimi vent’anni, passando da 4.443 nel 1999-2000 a oltre 17.000 oggi. Tuttavia, questa crescita non si è tradotta in un miglioramento dell’occupazione.
Le donne con disabilità sono le più penalizzate: pur rappresentando il 52,9% degli studenti universitari con disabilità, incontrano ostacoli maggiori nell’accesso al lavoro, subendo una doppia discriminazione di genere e condizione.
L’inclusione come necessità e opportunità
Investire nell’inclusione non è solo un atto di giustizia sociale, ma una scelta strategica per le aziende che vogliono attrarre talenti, migliorare la produttività e rafforzare la propria reputazione. Al contrario, ignorare questo tema comporta costi elevati: disaffezione dei lavoratori, perdita di competenze e un ambiente di lavoro poco attrattivo.
Creare spazi di lavoro più inclusivi significa adottare una prospettiva ampia, in cui le differenze non solo convivano, ma si arricchiscano a vicenda. Le aziende devono agire in modo concreto, abbattendo le barriere fisiche e culturali e costruendo un ambiente in cui tutti possano esprimere il proprio pieno potenziale. L’inclusione non può più essere un tema marginale: è tempo di affrontarla come una priorità reale e strategica.