Più vicino di quanto si pensi. Intervista a Leonardo Parigi, direttore di Osservatorio Artico
Raccontare la regione ai confini del mondo, oltre le complessità e i luoghi comuni. La sfida della testata Osservatorio Artico.
L’Artico in passato è stato spesso un argomento al di fuori dei riflettori della conoscenza comune. Tuttavia, negli ultimi anni, la consapevolezza dei cambiamenti climatici sta gettando una luce nuova su questa terra remota. Mentre i ghiacci si sciolgono e il permafrost si degrada a un ritmo preoccupante, i segnali di allarme risuonano a livello mondiale nella consapevolezza che queste trasformazioni avranno conseguenze che si estenderanno in ogni angolo del Pianeta. Dall’altra parte, ridurre la realtà complessa e articolata di questa area alla semplice – per modo di dire – questione ambientale è fuorviante: il contesto è molto più ampio. Sono tanti i cambiamenti in atto, e interconnessi tra loro.
Insomma, proprio come il cambiamento climatico l’Artico è un tema complesso, percepito come distante, quando in realtà è molto più vicino di quanto immaginiamo. Una sfida a livello comunicativo che Leonardo Parigi ha raccolto con convinzione, fondando nel 2018 Osservatorio Artico, testata interamente dedicata a questa regione. Qui la sua intervista.
Osservatorio Artico. Da dove nasce l’idea e la volontà di occuparsi di questo tema?
Il progetto di Osservatorio Artico nasce dalla volontà di raccontare qualcosa di davvero particolare. Nel 2011 mi trovavo in Danimarca per l’Erasmus, ed ero alla ricerca di un tema per la tesi di Scienze Politiche Internazionali. Il tema dell’Artico, in Italia, era praticamente a livello zero, mentre scoprii un mondo di ricerche e di forte interesse in Danimarca, com’è naturale. Collaborando con diverse testate, negli anni seguenti, ho sempre provato a proporre il tema, declinato su varie materie: shipping, economia, geopolitica, ma i riscontri erano pochi. A fine 2018 ho deciso di provare a costruire qualcosa che non esisteva, e cioè un magazine sul tema. Le risposte che abbiamo avuto sono state incredibilmente positive, probabilmente perché la scelta di puntare forte su una nicchia così particolare – e di volerlo fare in italiano, perché in inglese c’è moltissimo sul tema, ha premiato. Oggi Osservatorio Artico è un giornale registrato, ha oltre 20 collaboratori fissi sparsi in tutta Europa, di cui alcuni ricercatori che abitano nell’area. Un valore aggiunto che ci consente di guardare a questa porzione di mondo con più profondità.
L’Artico è un’area grande e complessa. A quali notizie date spazio sulla vostra testata? Cosa raccontate di questa regione?
L’ambizione è alta, e cioè raccontare un mondo sconosciuto, distante e complesso visto da molto lontano. È una sfida particolare, perché il rischio di banalizzare questioni complesse è sempre dietro l’angolo. Non abbiamo un’impostazione accademica, né intendiamo scimmiottare centri di ricerca. La nostra volontà è di portare al pubblico italiano la regione artica e sub-artica, tramite discorsi articolati e complessi ma anche tramite notizie più leggere. Dai viaggi alla fauna, dalle tradizioni delle popolazioni artiche alla cultura, con però un forte interesse nei confronti della politica nazionale dei Paesi nordici, della geopolitica dell’area, e ovviamente delle questioni ambientali e climatiche.
Quali sono i cambiamenti più significativi che stanno trasformando l’Artico? In che modo clima e ambiente influenzano e sono a loro volta influenzati da economia, politica, processi produttivi e sociali?
Cercando di riassumere, i temi sono tutti connessi. Le ultime ricerche climatologiche segnalano come in Artico gli effetti dell’aumento delle temperature medie siano addirittura tre volte oltre la media globale, in un luogo che dovrebbe anzi essere protetto il più possibile. Lo scioglimento dei ghiacci marini, soprattutto in estate, è un trend estremamente rapido che cambia il volto della regione, anche in virtù del fatto che non esistono trattati internazionali che regolino le attività artiche. I cinque Paesi costieri che si affacciano sul Mar Glaciale Artico (Danimarca, Norvegia, Canada, Stati Uniti e Russia) sono padroni di uno spazio immenso, per lo più sconosciuto, di cui non conosciamo nemmeno i fondali marini. Significa anche cambiamenti radicali per le economie regionali, passando dalle vie commerciali marittime al turismo, con pro e contro estremi che portano a un cambiamento di una rapidità probabilmente unica nella storia.
Sono tutti cambiamenti negativi, oppure nell’adattamento ai cambiamenti climatici si nascondono anche delle opportunità?
Dipende dal punto di vista. Noi possiamo guardare all’Artico con grande attenzione perché ormai vediamo quanto il cambiamento climatico incida pesantemente anche sulle nostre coste. Più avanza lo scioglimento medio dei ghiacci marini, più aumenterà il livello del mare. Basterebbe questo per guardare all’Artico con preoccupazione, chiedendo che diventi, idealmente, un “parco protetto” mondiale. Ma nella regione abitano oltre 4 milioni di persone, e sono decine i Paesi che guardano al mondo polare e sub-polare con forte interesse. Potremmo però dire agli abitanti delle Svalbard che sbagliano ad approfittare del turismo nella regione, aprendo ristoranti e bar? Sicuramente no, anche perché c’è offerta se c’è domanda. L’Artico è il new exhotic, per cui è sempre più facile andare in crociera in luoghi remoti e quasi incontaminati, per vivere un’avventura sicuramente unica. Questo però significa anche modificare l’aspetto dei paesi e delle città, che sono ben contente di accogliere migliaia di turisti – per quanto si lavori per rendere l’arrivo delle persone “sostenibile”. Il turismo è solo la punta dell’iceberg (tanto per restare in tema), ma è un cambiamento economico, politico e culturale che abbraccia ogni aspetto della società.
In che modo i cambiamenti di cui ci racconti riguardano anche Italia e Unione Europea?
L’Italia è membro osservatore dell’Arctic Council – il più importante foro internazionale sul tema – dal 2013, e ha una sua strategia per l’Artico. Ma quasi nessuno sa che in Italia esiste un Inviato Speciale per l’Artico, il Min. Carmine Robustelli, che presiede alla Farnesina il “Tavolo Artico”, composto da aziende e centri di ricerca. La Marina Militare manda nell’area dal 2017, ogni anno, una missione di ricerca scientifica e oceanografica, a bordo della nave Alliance. Il nostro Paese è molto interessato ai cambiamenti della regione sia attivamente, come in questi punti descritti, sia ovviamente anche in maniera passiva, per colpa delle attività di rimbalzo che il progressivo deteriorarsi delle condizioni ambientali e climatiche regionali crea anche sul Mediterraneo. L’Unione Europea rimane nel mezzo, perché nel 2021 ha rinnovato la sua strategia per l’Artico, e la Commissione Europea esprime anche un Inviato Speciale. Un suo Paese membro – la Danimarca – è uno dei Paesi costieri, grazie al fatto che la Groenlandia faccia parte del Regno di Copenhagen. Ma Bruxelles ha poco margine sulla questione, non potendo parlare di voce propria. Mentre Russia e Stati Uniti si affacciano direttamente sul mare artico.
Proprio come succede per i temi del cambiamento climatico, anche l’Artico è vissuto spesso come un qualcosa di lontano, se non nel tempo, sicuramente nello spazio. Informazione e comunicazione possono limare questa distanza? E se sì, in che modo?
Assolutamente sì, ma è molto complesso. La linea di Osservatorio Artico è quella di cercare di andare a fondo sui temi più complessi, e per questo abbiamo al nostro interno alcuni collaboratori che parlano cinese, hanno vissuto in Cina e lavorano sulle attività della Cina nell’Artico. Perché ogni tema va affrontato con dovizia di particolari, incastonandolo in una cornice più ampia. Per quanto sembri paradossale, è proprio grazie a una comunicazione più leggera con articoli sui viaggi e sugli animali, che possiamo anche intercettare una fascia di pubblico più interessata ad approfondire temi complessi come l’aumento della spesa per la difesa dei Paesi Nordici. Ma riteniamo che sia importante parlarne e allargare il contesto, perché è corretto che non sia un tema solo per i ricercatori accademici, ma che entri anche nella discussione più ampia sulla gestione sostenibile delle risorse, degli spazi e della cooperazione internazionale.
Quali altri sfide affrontate nel vostro lavoro di comunicazione e informazione su Osservatorio Artico?
Ogni anno creiamo un festival ad hoc sul tema, che si chiama “Italia chiama Artico”, proprio per cercare di raccontare in maniera puntuale tutti i vari aspetti. È un tema così ampio che potremmo parlarne per giorni, ma cerchiamo di stringere su una sola giornata! Negli ultimi due anni abbiamo avuto decine di relatori, tra cui istituzioni ed enti come il Ministero degli Affari Esteri, il CNR, la Commissione Europea, alcune Autorità di Sistema Portuale, Ambasciate estere in Italia e viceversa. E poi aziende come ENI, E-Geos, Leonardo e tanti altri attori coinvolti sul tema. In un mondo che parla molto di ambiente e di clima sembra facile, ma in realtà è davvero molto complesso riuscire a tessere tutta una rete attiva di punti che possono parlare e fare divulgazione, forse anche perché siamo abituati a vedere i temi con una forte polarizzazione. Ma dobbiamo sempre considerare la complessità di un tema come questo, che richiede molteplici letture e sfumature di racconto.