La comunicazione sostenibile deve riconnettersi alla comunità.
Per evitare di diventare il capro espiatorio delle contraddizioni ESG, il racconto aziendale ha bisogno di rimettere al centro le persone e riclassificare le priorità. Articolo di Sergio Vazzoler uscito originariamente sul numero di maggio di CSRoggi (qui).
In tutto questo bulimico proliferare di canali specializzati ed eventi dedicati alla sostenibilità e al suo acronimo tecnico ESG, cosa manca alla comunicazione per incidere profondamente sul vissuto delle persone e delle comunità? Per rispondere a questa domanda occorre scattare una fotografia della fase che caratterizza il dibattito pubblico intorno al tema della sostenibilità. Una fase che vede un picco di comunicazioni incentrate sulle magnifiche virtù dell’impresa sostenibile e una contemporanea fortissima concentrazione di attacchi indirizzati alla prevalenza della dimensione comunicativa rispetto alle effettive azioni messe in campo sul fronte ESG, arrivando a equiparare le distorsioni comunicative con la comunicazione stessa.
Indicatori e fatti ESG
Ecco, in questo panorama magmatico, anziché nutrire una fazione o l’altra, sarebbe preferibile compiere un passo a lato e guardare le cose da un punto di osservazione più distaccato e attento alle dinamiche che spesso si perdono e si confondono. Conseguentemente si può notare una prima evidente distorsione nell’attuale comunicazione ESG del mondo business: una grande attenzione alla ricerca di corrispondenza tra indicatori di performance sostenibile e fatti aziendali che ne dimostrino l’aderenza, dimenticando le politiche e le scelte in merito agli scenari più impattanti sulla vita dei propri dipendenti e delle comunità di riferimento.
In questo inizio d’anno abbiamo assistito a due tragedie sul lavoro che hanno colpito brand come Esselunga e Enel Green Power. Improvvisamente, l’attenzione si è spostata sui pilastri dell’economia civile: la sicurezza delle persone, la catena di fornitura, la governance dei processi di verifica e controllo. Al di là delle dinamiche degli incidenti e delle responsabilità penali da confermare o meno da parte della magistratura, ciò che è emerso in entrambe le vicende è stato il passaggio a vuoto nel dibattito pubblico in merito a una riflessione urgente nel collegare quei pilastri dell’economia civile con le performance e la comunicazione della sostenibilità.
Non si tratta di ridurre tutto al fenomeno del greenwashing o del socialwashing, bensì di cogliere l’opportunità di ripensare i percorsi di rendicontazione e comunicazione sostenibile in modo da far emergere la traduzione dei valori in pratiche concrete e rendere note le aree di sofferenza o di mancato raggiungimento degli obiettivi.
Portare la crisi climatica dentro le decisioni e il linguaggio
Troppo facile o scontato prendere a esempio il tema della sicurezza sul lavoro e della catena di fornitura dopo due tragedie di questa portata? Per fugare questo pensiero, spostiamo l’attenzione su un tema meno influenzato dalle cronache di attualità: l’adattamento alla crisi climatica. Anche in questo caso, nei bilanci di sostenibilità e nei talk dedicati alla decarbonizzazione sono tanti gli obiettivi dichiarati e molteplici le pratiche raccontate. Eppure raramente si trova qualcosa sugli impatti della crisi climatica sui propri dipendenti e sulle strategie per mitigarne i rischi.
Cosa si sta facendo per gestire gli impatti del mix formato da ondate di calore, siccità prolungata e aumento delle polveri inquinanti in atmosfera? Quali misure organizzative e infrastrutturali sono state adottate su orari di lavoro, pause, training e sistemi di allarme? Il World Economic Forum prevede che lo stress termico comporterà la perdita del 3,8% delle ore lavorate da qui al 2030: non è forse questa una gigantesca sfida di responsabilità sociale?
Terzo esempio: la perdita del potere d’acquisto è o non è un indicatore di sostenibilità da rendicontare e affrontare? Oggi tutte le sigle della Grande Distribuzione Organizzata puntano sui prodotti sostenibili, su nuovi reparti dedicati al benessere e su molteplici offerte in grado di rispondere alle rinnovate esigenze del consumatore in chiave green & wellness.
Eppure c’è voluta la decisione disruptive di una sigla discount come LIDL per riportare al centro il tema della dignità salariale della propria forza lavoro: uscendo da Federdistribuzione e adottando il contratto firmato da Confcommercio per il terziario, il gruppo tedesco ha posto sotto i riflettori il ritardo e le ambiguità delle tante sigle GDO rispetto alla sostenibilità economica delle proprie comunità di dipendenti. E ancora, a proposito di grande distribuzione, rimane assordante il silenzio circa la distanza tra prezzi di vendita al consumatore e importi pagati agli agricoltori conferenti: forse correggendo almeno in parte questa distorsione si eviterebbe di puntare il bersaglio dei trattori solo sulle politiche green dell’Europa.
E quindi come riconnettere sostenibilità, comunicazione e comunità?
Esempi diversi ma che ci portano a un’unica risposta alla domanda iniziale: per salvaguardare il ruolo strategico della comunicazione in grado di far vivere la sostenibilità nel quotidiano delle persone, tanto nella veste di dipendenti quanto in quella di utenti/consumatori, e accompagnare così una transizione ecologica equa e solidale, dobbiamo abbassare il volume dello storytelling finalizzato alla vendita e alzare quello della narrazione orientata alla coesione sociale.