Graham McLaughlin
Walmart è un’azienda molto generosa – ogni anno fa donazioni in denaro e prodotti per un valore di oltre un miliardo di dollari – eppure, continua ad essere vista dal pubblico come una delle imprese meno responsabili del pianeta ed è il bersaglio costante di boicottaggi e proteste.
Wells Fargo ha fatto elargizioni in denaro per un totale di oltre $315milioni nel 2012, una somma più grande di qualsiasi azienda negli Usa, distribuita in modo attento, dando la priorità alle case per coloro che hanno redditi bassi e che acquistano una casa per la prima volta; eppure è stata classificata tra le 10 imprese più sgradite in America nel 2013.
Evidentemente, la donazione di qualche dollaro, persino di qualche centinaia di milioni di dollari, non è il rimedio per i mali di un brand aziendale. E probabilmente non costituisce neanche il modo più efficace per promuovere il cambiamento sociale. Ecco una ragione perché, anche se le somme nette sono aumentate in termini assoluti, le imprese danno in beneficienza una percentuale sempre più piccola dei propri utili.
La buona notizia è che ciò non significa necessariamente che le aziende stiano donando di meno; stanno rivedendo il proprio impegno nella beneficienza, passando da donazioni e sussidi a investimenti strategici nel territorio con l’obiettivo di massimarne il ritorno sociale e di business.
Esiste, comunque, la possibilità di fare di più. La corporate America continua a staccare assegni per un valore di oltre 18 miliardi di dollari l’anno e molti manager vedono i contributi alla beneficienza come uno sforzo slegato dalle attività di business, anziché come una parte integrante. Un cambiamento di tale atteggiamento e un utilizzo diverso di questi dollari potrebbero avere un effetto trasformativo per le imprese stesse e per la società in generale.
Consideriamo il potenziale impatto di un cambiamento del genere su Walmart. Proviamo a immaginare che quest’anno l’azienda non faccia donazioni per un miliardo di dollari, ma che utilizzi il denaro, assieme a un aumento piccolissimo dei propri prezzi, per pagare un salario minimo di $12 all’ora a tutti i dipendenti. (L’idea è esaminata qui da ricercatori dell’UC Berkeley.) Il risultato sarebbe un miglioramento delle vite dei dipendenti e delle loro famiglie, un risparmio annuo di centinaia di milioni di dollari per l’economia americana e, potenzialmente, un cambiamento della percezione pubblica di Walmart.
Proviamo ora a pensare come sarebbe se tutte le imprese abbracciassero questo tipo di impegno, focalizzando i propri programmi di beneficienza non sulla distribuzione di assegni, ma su azioni che diffondono valori .
Alcune aziende si stanno già muovendo in questa direzione, incoraggiando il proprio personale a utilizzare le proprie competenze per promuovere cambiamenti sociali. Deloitte, ad esempio, ha impegnato $110 milioni in ore di lavoro dei propri dipendenti a favore di attività professionali svolte pro bono, mentre centinaia di imprese hanno aderito all’iniziativa A Billion + Change, impegnando le proprie capacità per il bene sociale.
Per effettuare cambiamenti veramente trasformativi, le imprese devono integrare questo approccio più strategico all’impatto sociale in ogni aspetto del loro business. Prendiamo l’esempio del produttore di dentifricio Tom’s of Maine. Come osserva Marc Gunther nel libro Faith and Fortune: How Compassionate Capitalism Is Transforming American Business, anni fa, quando Tom’s era ancora una piccola impresa, fece un investimento straordinario di 300.000 dollari, non previsto a budget, per mantenere la propria promessa che non avrebbe usato animali per testare i propri prodotti.
Nell’immediato, la scelta ebbe un impatto negativo sugli utili. Ma grazie a quell’investimento e ad altri sforzi per comportarsi secondo i propri valori, l’85{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} della corrispondenza ricevuta da Tom’s of Maine da parte di clienti e cittadini fu positiva – una percentuale eccezionale. La politica riguardo ai test sugli animali fu citata continuamente come motivo per i consensi. La percezione straordinariamente positiva del brand fu una delle ragioni dell’acquisto di Tom’s of Maine da parte di Colgate per 100 milioni di dollari qualche anno fa.
Molte imprese stanno intraprendendo questa strada, tra le quali Wells Fargo e Walmart, che hanno compiuto azioni importanti per lo sviluppo di una filiera responsabile.
Le imprese sono motivate a muoversi in questa direzione perché le ricerche indicano che i consumatori sono disposti a pagare un premium per prodotti socialmente responsabili, ma anche perché è noto che i consumatori puniranno le grandi imprese che fanno finta. Secondo molti studi, i dipendenti considerano i valori dell’azienda più importanti dei propri stipendi. Certo, esiste un solido ragionamento di business per l’introduzione di una strategia basata su valori (e un comportamento adeguato). Ma questo ragionamento non è univoco, altrimenti tutti l’avrebbero già abbracciato.
Lo si può pensare in questo modo: l’impatto a breve sui ricavi necessario per far sì che l’impresa si comporti secondo i propri valori, che i lavoratori agiscano in modo etico sempre e comunque, e che l’azienda impieghi le proprie competenze e il suo posizionamento di mercato per fare la differenza, sarebbe compensato dai ritorni?
E’ impossibile esserne sicuri, ma compiere questo passo è la vera responsabilità aziendale. La responsabilità aziendale non è fare scelte solo quando c’è un evidente ritorno commerciale dalle azioni benefiche. E’ la scommessa a lungo termine che lo sviluppo di un’impresa etica di lavoratori empatici porterà a un miglioramento delle performance e dell’impegno, creando un’azienda che conquisterà la fiducia duratura dei clienti e degli azionisti, anche se comporta dei costi nel breve termine.
Fonte: http://www.theguardian.com/sustainable-business/responsibility-good-business-long-term