di Oliver Balch
Quando le imprese girano lo sguardo verso l’Amazzonia, gli alberi e le piante del bioma più diversificato del pianeta tremano a buona ragione. Dal boom del caucciù al commercio del legname, storicamente lo sfruttamento commerciale delle foreste equatoriali del Sud America ha significato una sola cosa: la distruzione ambientale.
Natura, l’impresa brasiliana dei cosmetici, spera di cambiare questa percezione. Indicata recentemente come la seconda impresa più sostenibile del mondo dalla società di ricerca canadese Corporate Knights, Natura ha dichiarato la propria intenzione di acquistare il 30{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} delle materie prime da fonti sostenibili nell’Amazzonia.
Tale impegno fa parte dell’ambizioso “Programma Amazzonia” lanciato 18 mesi fa dal brand dei cosmetici a vendita diretta. Gli altri obiettivi, tutti da realizzare entro il 2020, prevedono investimenti nella regione per un miliardo di Real, lo sviluppo di una rete multidisciplinare di mille ricercatori attivi su temi vicini alla foresta Amazzonica e il coinvolgimento di diecimila-dodicimila piccoli produttori nella loro filiera.
Alla base del programma vi sono due fattori “fondamentali”, dice l’AD di Natura, Alessandro Carlucci. Il primo è l’impegno ambientale implicito del nome del brand, Natura. Il secondo è rappresentato dalle origini brasiliane dell’impresa, Paese la cui superficie è coperta per due quinti dall’Amazzonia. “Mettendo insieme le due cose, un impegno per l’Amazzonia è in qualche modo parte integrante della nostra strategia, della nostra capacità e della nostra missione”.
Vi sono anche delle altre ragioni più concrete, economicamente parlando. Nonostante ricavi netti pari a R$6,3 miliardi, rispetto ai giganti del settore cosmetici come Unilever o L’Oreal, Natura è un pigmeo. “Quindici anni fa ci rendemmo conto che non saremmo stati in grado di competere con i grandi dell’industria cercando una nuova molecola in un laboratorio”, osserva Carlucci.
Natura decise quindi di utilizzare la biodiversità dell’Amazzonia come una “piattaforma tecnologica” per la ricerca e lo sviluppo. Circa il 75{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} degli ingredienti secchi impiegati da Natura proviene già da fonti naturali, posizionando l’azienda come leader nel mercato dei cosmetici e dei prodotti per la cura della pelle.
Una conseguenza indiretta del “Programma Amazzonia” di Natura è lo stimolo all’innovazione interna. La scelta di approvvigionarsi dalla foresta equatoriale non è quella più semplice né quella più conveniente. “Ci mette davanti a una serie di barriere – ammette Carlucci – che ci costringe a cercare un approccio diverso. Come possiamo fare per avere un maggiore impatto economico e un minore impatto ambientale? Queste sfide sono essenziali per generare innovazione”.
Un’altra evidente motivazione è il consenso dei consumatori. In Brasile, infatti, l’interesse nel consumo etico è in crescita, come ricorda Carlucci. A suo avviso, le credenziali di Natura come impresa sostenibile esercitano una “forte influenza” nelle scelte di acquisto dei consumatori. E non solo in Brasile. In questi anni, la società registra successi anche in Messico, Perù, Argentina, Cile, Colombia e persino in Francia.
A sostenere le ambizioni “amazzoniche” di Natura vi è un principio importante. “Vogliamo rafforzare il concetto di un’economia verde come un’economia della foresta equatoriale” spiega Carlucci. “In altre parole, secondo noi la soluzione non è quella di donare soldi; dobbiamo trovare il modo per rivedere la forza economica della biodiversità”.
Per fare ciò, Natura attua una strategia su tre fronti.
Il primo è l’investimento nella scienza e nella ricerca, con la recente costituzione di un Centro di Innovazione Naturale nella città amazzonica di Manaus. Allo stesso tempo, però, l’utilizzo della biodiversità della foresta amazzonica per scopi commerciali solleva questioni etiche importanti. In fondo, chi possiede i diritti alla scienza delle piante? Carlucci ammette che il controllo normativo della proprietà intellettuale nell’Amazzonia non è affatto chiaro. Per questo, Natura ha raggiunto accordi individuali con i propri piccoli fornitori – tutti e 2.500 – per prevenire la cosiddetta “bio-pirateria” ovvero la commercializzazione non etica del patrimonio genetico e culturale della regione. Gli accordi garantiscono compensi equi e prevedono impegni in termini d’investimenti tecnici e sociali.
La seconda parte della strategia Natura mira a creare maggiori capacità nella propria filiera. Qui, un elemento essenziale è la ricerca di soluzioni che aggiungano valore, consentendo di coprire i costi maggiori dell’approvvigionamento dall’Amazzonia. Il brand brasiliano ha già fatto passi importanti su questo fronte. Dal 2007 lavora con 120 piccoli coltivatori di cacao nel Pará sud orientale per insegnare la produzione organica. Oltre a vendere a Natura, i coltivatori hanno acquistato ordini anche da alcuni produttori di cioccolato europei. Inoltre, la società di cosmetici sta realizzando un complesso per la produzione di sapone a Benevides, una cittadina nello stato amazzonico del Pará. Il distretto Eco-Parque, la cui inaugurazione si terrà a ottobre, offre spazi per i fornitori che vogliono avviare attività produttive. Secondo Carlucci il progetto rappresenta un “successo immediato” per i fornitori, perché la maggiore parte dei costi viene sostenuta da Natura. “Tramite la partecipazione imparano anche a essere sostenibili“, aggiunge.
Il terzo e ultimo elemento della strategia riguarda la formazione e l’imprenditorialità. Al cuore della visione di Carlucci c’è lo sviluppo di business leader provenienti dalla stessa Amazzonia. “Quando le comunità esprimono una leadership locale, si sviluppano e crescono” dice. La sfida è convincere le persone dotate a rimanere, a non trasferirsi nelle grandi città. “Se investiamo nella formazione e nello sviluppo della leadership, è altrettanto importante investire anche nella catena produttiva, in modo che ci siano opportunità di business locali”.
Il programma Amazzonia è relativamente nuovo, ma la storia di Natura come impresa sostenibile risale al 1969. “Eppure – conclude Carlucci – l’azienda ha ancora molto da imparare: non crediamo di avere già in mano la soluzione. E’ un tema complesso, l’Amazzonia, ma siamo convinti che possiamo essere tra gli attori capaci di mobilitare altre imprese e anche comunità locali a promuovere lo sviluppo sostenibile dell’Amazzonia“.
Fonte: The Guardian