Oliver Balch
La pubblicità è una parolaccia. O almeno è così che molte persone attive nel settore della sostenibilità la vedono. I professionisti della sostenibilità vogliono salvare il mondo; i pubblicitari ci vogliono vendere automobili e gomma da masticare. Sembrano due universi distanti anni luce.
Eppure l’agenzia globale di PR e pubblicità Publicis ha appena annunciato l’acquisizione di SalterBaxter, una società di consulenza per la sostenibilità con sede a Londra. Viene quindi da chiedersi: è in atto una convergenza tra i due mondi, oppure stiamo assistendo a un difficile matrimonio combinato?
La versione ufficiale, naturalmente, è positiva. Da parte sua, Publicis afferma che l’acquisizione le consentirà di rispondere alla crescente domanda dei propri clienti di servizi strategici di sostenibilità. Nel ruolo di sorellina minore, SalterBaxter avrà l’opportunità di operare su scala veramente globale (Publicis, che ha sede a Parigi, è attiva in 108 paesi).
Certamente, l’accordo è basato su una forte motivazione commerciale. Comunque sia, gli specialisti della pubblicità sono esperti nell’identificare nuove tendenze. E in questo momento, nel mondo del business ci sono poche tendenze più attuali di quella della sostenibilità. In un’indagine tra 8.000 giovani, Publicis ha trovato che il 67{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} dei millennial, la cosiddetta generazione Y, si aspetta che il mondo del business si impegni su temi sociali. Un numero simile vorrebbe che fosse più facile identificare le imprese che “lavorano per il bene della comunità”.
“Nel mondo imprenditoriale, la sostenibilità è al centro delle strategie di business e della creazione di valore, e solo due anni fa la situazione non era così”, dice Pascal Beucler, responsabile strategico di MSL Group, il ramo Publicis che si occupa delle comunicazioni strategiche e con la quale SalterBaxter è ora alleata.
I grandi della pubblicità sono in grado di rispondere a questo forte aumento di domanda per servizi di sostenibilità? Non proprio. Nonostante una divisione sostenibilità con 150 persone a Publicis, Beucler ammette che la nuova domanda richiede “competenze che non si trovano nel settore della pubblicità”.
I fatti lo confermano. Con poche notevoli eccezioni (come la recente campagna Innocent Chain for Good), l’industria della pubblicità ha fatto solo pasticci nel tentativo di abbracciare la sostenibilità. Troppe volte, i brand danno l’impressione di essere “santarellini” oppure sleali. Il risultato è un senso diffuso di corporate greenwashing e, conseguentemente, il pubblico è sempre più disilluso e diffidente.
Come Publicis, i grandi nomi della pubblicità hanno i propri esperti. A Saatchi & Saatchi, la divisione Saatchi and Saatchi S si occupa di sostenibilità, mentre OgilvyEarth e Grayling Future Planet svolgono funzioni simili presso le omonime agenzie.
Per quanto costituiscano una presenza positiva, tali gruppi hanno un’influenza “estremamente limitata” sulla maggior parte dei servizi offerti dalle rispettive agenzie, secondo Brendan May, presidente della consulenza di sostenibilità Robertsbridge, già amministratore delegato dell’ufficio sostenibilità di Weber Shandwick. “Vi sono degli ottimi individui all’interno di queste imprese, ma tendono ad essere “lupi solitari” o “liberi professionisti”, afferma.
Le prove si trovano nel parco clienti delle agenzie pubblicitarie. Un giorno le agenzie proclamano a voce alta i benefici verdi di un brand di alimenti biologici. Il giorno dopo fanno da portabandiera per imprese colpevoli di inquinamento intenzionale. “E’ una posizione assolutamente non credibile”, aggiunge May.
Eppure il settore delle comunicazioni aziendali in generale – che si tratti di pubblicità, marketing, relazioni pubbliche, affari istituzionali e così via – è così importante che gli esponenti della sostenibilità non possono permettersi di disinteressarsene. I brand sono tra gli influencer più potenti al mondo oggi. E hanno il potere di elevare la sensibilità del mondo riguardo a tabù culturali o di convincere il pubblico a diventare agenti per il cambiamento. E’ un vero peccato che il numero di brand che lo fanno sia così basso.
L’acquisto di competenze specializzate, come appunto l’acquisizione di SalterBaxter da parte di Publicis, potrebbe segnare l’inizio di un nuovo orientamento, come anche il reclutamento di esperti specializzati in specifici temi. Le agenzie pubblicitarie e di PR devono, comunque, individuare argomenti convincenti per attrarre i professionisti della sostenibilità.
Se le varie WPP, Omnicom e Interpublic vogliono veramente abbracciare la sostenibilità, devono utilizzare gli esperti di sostenibilità di cui dispongono. Chiuderli in un’unità di sostenibilità periferica non serve a nulla. Gli specialisti della sostenibilità devono essere presenti a partire dal primo incontro per lo sviluppo di un brand fino all’esecuzione della campagna pubblicitaria.
“Non siamo esperti della comunicazione, ma conosciamo la vera autenticità e la sostenibilità genuina, e i più astuti tra i nostri colleghi si rivolgono a noi”, dice Mike Tuffrey, co-fondatore della consulenza Corporate Citizenship per il business responsabile, acquistata nel 2007 dall’agenzia di servizi di marketing britannica Chime Communications.
L’ultimo passo da affrontare, il più importante, è quello di fare un auto-esame. Spiega May: “Molte agenzie di pubblicità e PR non stanno facendo quello che fanno i propri clienti aziendali: vale a dire, una revisione dei propri modelli di business alla luce della sostenibilità”.
Se lo facessero, potrebbero benissimo inciampare in qualche intuizione che vale la pena condividere. Se si vuole che la pubblicità non sia più una parolaccia, è necessario che il settore faccia un’azione di pulizia. Deve diventare più sostenibile esso stesso – non limitarsi a piazzare più sostenibilità.