Di Sergio Vazzoler “Portare” la sostenibilità ambientale sui social media pone alle imprese una sfida tutt’altro che scontata: il tema su cui mi sono confrontato insieme al giornalista Stefano Martello con il pubblico della Social Media Week di Roma ha fatto emergere, da un lato, un interesse vivo e crescente ma, d’altro canto, una serie di fattori che spesso le organizzazioni (anche quelle più strutturate) tendono ancora a sottovalutare. Nell’intervista rilasciata al magazine online Formiche ho provato a rispondere ad alcune questioni aperte sul “triangolo” che collega imprese, sostenibilità e web. Qui, invece, mi vorrei concentrare su un punto che ritengo centrale e specifico per la comunicazione ambientale sui social. Soltanto fino a pochi anni fa, le società che già adottavano politiche e implementavano azioni di Responsabilità Sociale e Sostenibilità, ignoravano i canali social per comunicare il proprio impegno nei confronti dell’ambiente e del benessere. Al contrario, i social media venivano largamente usati per tutte le azioni di marketing più innovative, per le promozioni e per i giochi in grado di ingaggiare clienti e potenziali nuovi target. Recentemente si assiste, invece, ad un progressivo trasferimento sui social anche di notizie aziendali più complesse, orientate alla dimensione valoriale e alla “cura” nei confronti dei propri pubblici considerati sempre più come membri di una comunità, di un ambiente e di un ecosistema, anziché semplici target da colpire o ingaggiare a fini puramente commerciali. Alcune ricerche, come quella annuale di Lundquist lo confermano. Ma come lo si fa? Spesso con una certa fatica nell’abbandonare un linguaggio più vicino ad un report di sostenibilità o a una dichiarazione ambientale rispetto alle modalità preferite dai social followers: troppi tecnicismi, termini algidi e incapaci di entrare in sintonia con gli interlocutori dell’impresa e scarso utilizzo della cassetta degli attrezzi “social”. Parallelamente, però, si assiste a una fetta sempre più consistente di imprese e social media manager che si convincono ad abbandonare una volta per tutte i codici freddi e noiosi di cui soffre la comunicazione ambientale per declinare anche l’ambiente in visual, infografiche e video-pillole in grado di “trascinare” il follower sugli impegni e i valori green dell’azienda. Certamente un fatto positivo che aiuta ad allargare la platea, a diffondere buone pratiche e, perché no, a sensibilizzare e responsabilizzare su temi importanti e sfidanti. Tutto bene, dunque? Non proprio.
L’allineamento ai linguaggi social rischia di diventare un’arma a doppio taglio per le imprese che, troppo spesso, si crogiolano nel “far sapere” o nel “far vedere” il proprio lato positivo ma alla prima perplessità, critica o semplice richiesta di approfondimento, anziché entrare nel merito e cogliere l’opportunità di “far vivere” quella relazione, preferiscono il silenzio-dissenso.E in questi casi si compie un doppio errore:
- ci si concentra soltanto sull’interlocutore di turno, dimenticandosi di tutti gli altri, di quella “maggioranza silenziosa” che non prende posizione ma che si forma comunque un’opinione e che spesso si trasforma in un giudizio, probabilmente poco lusinghiero se la strategia è quella di pubblicare contenuti senza misurarsi con il dialogo e la capacità di risposta;
- si sottovaluta come la sostenibilità ambientale richiami immediatamente e naturalmente quesiti legati alla salute, alla sicurezza, ai diritti, al benessere e perfino all’etica dei comportamenti e, di conseguenza, non esiste un’alternativa alla comunicazione trasparente, autentica e orientata al dialogo anziché al (green) bodybuilding.