La transizione ecologica in Italia arretra
La transizione ecologica è ormai sulla bocca di tutti ma i risultati in Italia stentano ad arrivare. Anzi, quest’anno la situazione è regredita se si guarda alle rinnovabili, all’inquinamento, al consumo del suolo e alla tutela della biodiversità.
A che punto è l’Italia con la transizione ecologica? Nonostante l’interesse per il tema sia alle stelle, la situazione è peggiorata nel 2022. Il nostro Paese si sta infatti distinguendo a livello europeo per il suo trend negativo sotto vari punti di vista, disattendendo i buoni propositi contenuti nel progetto “Fit for 55” che puntava a rafforzare il “Green New Deal”. Sono tanti i fattori dietro a questo ritardo tra le difficoltà della politica e della società italiana di pianificare la transizione nel lungo periodo e le complicazioni geopolitiche e finanziarie che aggravano il quadro generale.
Le difficoltà italiane raccontate dai numeri: dalla crisi energetica…
Un primo aspetto che chiarisce il difficile contesto italiano riguarda l’installazione di nuovi impianti rinnovabili. Per soddisfare gli obiettivi di “Fit for 55”, all’Italia è stato richiesto di produrre 10 GW di energia pulita ogni anno fino al 2030. Tale obiettivo è ancora un lontano miraggio considerando che sono stati aggiunti nel 2021 soltanto 1,4 GW e nel primo trimestre del 2022 454 MW. Il dato è in miglioramento rispetto all’anno precedente ma è comunque necessario accelerare gli investimenti sulle rinnovabili come indicato dal MISE seguendo il modello degli “incentivi” – promosso dall’allora programma europeo “Conto Energia” tra il 2008 e il 2013 – ed eliminando gli intralci quali eterni iter autorizzativi, contrasti territoriali e scontri ministeriali (in particolare tra quello dei beni culturali e della transizione) di cui abbiamo recentemente parlato e che tuttora persistono.
Un secondo ambito problematico verte sulla contestata decisione di riattivare le centrali a carbone. Al momento, in Italia sono sette le centrali attive, la cui attività soddisfa circa il 4% della richiesta energetica. Ma il governo è pronto a massimizzare l’attività di queste strutture per contenere l’aumento dei costi collegati all’energia. Tale decisione viene giustificata come temporanea e il governo ha promesso che queste centrali verranno chiuse o riconvertite entro il 2025. Ciò non toglie che questa scelta segna un ulteriore passo indietro nella lotta climatica rispetto al 2021.
… alla tutela dell’aria, del suolo e della natura
Parlando di centrali a carbone non si può non considerare un terzo tema delicato, ossia quello del gas serra. Secondo ENEA, nel primo trimestre del 2022 si è registrato un incremento delle emissioni di CO2 dell’8% causato da un aumento del consumo di fonti fossili pari al 6,7%. Tale ripresa proviene per il 40% dai settori civili e dei trasporti che si sono riattivati dopo gli stop forzati dovuti ai lockdown. Questa situazione peggiora di un ulteriore 11% l’indice ISPRED (che misura la transizione ecologica sulla base dell’andamento dei prezzi e delle emissioni di gas serra) dopo il -27% registrato nel 2021.
Un ulteriore grave aspetto da considerare riguarda il consumo del suolo. L’ultimo report dell’Ispra sottolinea che l’usura cresce con una media di 2 metri quadrati al secondo e che, in soli dieci anni, la cementificazione è aumentata dello 0,23% (pari a 50 mila ettari ossia 800 mila campi da tennis). Nel 2022 tale consumo si attesta a 21.500 km2 in Italia, di cui 5.400 riguardano le sole infrastrutture che rappresentano il 25% del suolo impiegato e che generano elevati consumi termoelettrici.
Un ultimo tasto dolente connesso al consumo del suolo riguarda la tutela della biodiversità. Negli ultimi 5 anni quasi tutti gli indicatori sulla salute degli ecosistemi sono peggiorati in Europa e in Italia. Non basta infatti aumentare il numero delle aree protette (l’UE vuole tutelare il 30% degli ecosistemi entro il 2030) se poi questo non si traduce in una migliore conservazione delle aree, della flora e della fauna. In questo contesto, il problema più grave e difficile da gestire è la pressione antropica che deteriora gli habitat.
Quali soluzioni applicare per invertire il trend
A questo punto la domanda sorge spontanea: come si inverte il trend? Secondo il presidente di Legambiente Stefano Ciafani – intervistato di recente dall’Espresso – il governo dovrebbe favorire la transizione ecologica in quelle realtà già segnate da lunghe controversie ambientali e in quelle di importanza vitale per il Paese sfruttando l’innovazione tecnologica per ridurre l’utilizzo delle risorse.
Per questo è fondamentale creare sinergie ancora più strette tra il mondo della sostenibilità e quello della ricerca come stabilito a giugno da un protocollo d’intesa tra il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (Mims) e il Ministero dell’Università e della Ricerca (Mur). L’obiettivo di questo accordo consiste proprio nell’accompagnare la transizione ecologica insieme a quella digitale studiando le soluzioni migliori per ottimizzare i consumi e ridurre inquinamento e sprechi. Mai come ora l’Italia necessita di intese di questo tipo per costruire un futuro migliore.
Il successo di questa transizione dipenderà molto anche da come verrà comunicata e diffusa la cultura della sostenibilità e da come verranno adattate nella vita quotidiana le nuove soluzioni tecnologiche e organizzative derivanti dai più recenti studi. Per favorire davvero un cambiamento sostenibile nell’opinione pubblica, nelle istituzioni, nelle imprese e nei cittadini dobbiamo remare tutti nella stessa direzione. Non esiste successo senza un coinvolgimento di tutti.