Vidhi Doshi Quando si trattava dell’azienda di famiglia, Hetalbai Laktaria sapeva che era meglio non dare voce alle proprie opinioni. Nel villaggio di Ranmalpur nell’India occidentale, erano gli uomini che si occupavano delle tenute agricole, mentre le donne stavano a casa. Il marito e il cognato di Laktaria gestivano i campi di cotone, mentre lei cucinava, puliva e badava ai bambini, “Se mio marito e suo fratello stavano parlando di lavoro, non potevo interromperli o parlare”, dice. “Non potevo dire a mio cognato cosa fare sulla tenuta. Erano gli uomini ad occuparsene”. Tre anni fa, queste regole non scritte hanno iniziato a cambiare con l’avvio di un progetto proposto alle donne contadine da Primark, uno, tra i molti marchi di moda, ad essere criticato per le terribili pratiche di lavoro nelle fabbriche di vestiti e per l’approvigionamento di prodotti dal Bangladesh, dove 1.135 operai morirono a causa del collasso del complesso Rana Plaza. “Una donna che si chiamava Roopaben arrivò al nostro villaggio per insegnare alle donne le varie metodologie di coltivazione. Ci insegnò a ridurre l’uso dei fertilizzanti chimici, perché fanno male al raccolto. Poi, a coprire la faccia con una salvietta e a indossare guanti, mentre applichiamo il fertilizzante. Ci disse che non era necessario inondare l’intero campo per far crescere il cotone, e che anzi troppa acqua poteva rovinare il raccolto”, dice Laktaria. Dopo la Cina, l’India è il secondo produttore di cotone al mondo. Dei 100 milioni di coltivatori di cotone nel mondo, la maggior parte sono piccoli proprietari in Paesi in via di sviluppo, dice Orsola de Castro, fondatrice e direttrice di Fashion Revolution, un gruppo che promuove la moda etica. Lontana dalle invitanti vetrine di nomi come Primark, l’industria è a volte brutale per i coltivatori che si trovano ad affrontare prezzi globali iniqui e intermediatori senza scrupoli. “Molti agricoltori si trovano in un circolo vizioso di debiti e povertà”, aggiunge. “Le sfide vanno dall’impatto del cambiamento climatico ai prezzi bassi dei semi di cotone, dalla concorrenza dei produttori sovvenzionati dai Paesi ricchi, alle condizioni commerciali svantaggiose. In particolare, le agevolazioni governative per i coltivatori di cotone dei Paesi ricchi, soprattutto negli Usa, creano un mercato con prezzi artificialmente bassi, dove i coltivatori su scala piccola non sono in grado di competere”. Nel Gujarat, una zona soggetta alla siccità, era opinione diffusa che più acqua si dava ai campi, più i volumi della raccolta aumentavano. Quella sera Laktaria tornò a casa e raccontò al marito quello che aveva imparato. Le sue nuove conoscenze, da persona che lasciò la scuola a 13 anni e si sposò a 19, innalzarono il suo status all’interno della famiglia. “Mio marito mi ascoltò e provammo le cose che mi avevano insegnato”. Le nuove tecniche funzionarono. La tenuta di Laktaria ebbe un aumento della produzione di 300kg rispetto all’anno precedente. “Guadagnammo abbastanza per poter andare via dalla casa della famiglia di mio marito e costruirne una nostra. Comprammo un frigorifero e avevamo i soldi per pagare la scuola dei nostri due figli. Mettemmo da parte dei soldi per il matrimonio di nostra figlia. Le nostre vite cambiarono”. Circa 380 donne del villaggio di Ranmalpur hanno frequentato i campi di addestramento negli ultimi tre anni. I campi sono gestiti da un’impresa sociale denominata CottonConnect, e finanziati da Primark. Il coinvolgimento di Primark nel programma di Ranmalpur fa parte degli sforzi dell’impresa per rendere più etico il suo business, che vale 19 miliardi di sterline e deriva in gran parte da azioni commerciali sviluppate con Paesi in via di sviluppo. Circa 1.250 donne hanno già partecipato alle iniziative di Primark, tra cui programmi per aumentare il raccolto e azioni a favore della salute. Primark spera di innalzare il numero a 10.000 nei prossimi sei anni. Spiega un portavoce: “Anche se Primark non compra il cotone direttamente dai produttori, il nostro obiettivo di lungo termine è fare in modo che tutto il cotone nella nostra filiera arrivi da fonti sostenibili”. I prezzi stracciati del cotone sono una problematica rilevante, dice Subindu Garkhel, responsabile del settore cotone a Fairtrade (ndr. organizzazione internazionale che promuove migliori condizioni di vita e lavoro per gli agricoltori e i lavoratori dei Paesi in via di Sviluppo), ma “non si tratta di un problema di una o poche imprese, è questione dell’andamento dei prezzi in questo momento”. Ritiene un buon segno il fatto che Primark abbia incominciato a fare qualcosa, perché è un esempio per i marchi che non si impegnano. Precisa però che “un solo progetto non rappresenta una soluzione”. Il programma non è stato certificato, ma secondo il CEO di CottonConnect, Alison Ward, gli interventi hanno fatto aumentare di almeno il 10{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} la raccolta media e generato un maggiore utile medio per famiglia di £1.819 in due anni. “E’ stato bello per le donne. Durante una mia visita, una donna mi disse che all’inizio suo marito non vedeva di buon occhio la sua partecipazione al programma. Ma gli ha appena regalato un trattore, quindi ora lui è molto felice”. Primark non dice quanto ha investito nel programma, ma ha informato il Guardian di avere effettuato un “investimento rilevante” in due fasi: una prima fase pilota di tre anni, seguita da un ulteriore programma di sei anni. Fonte: https://www.theguardian.com/sustainable-business/2016/sep/30/primark-tackles-fast-fashion-critics-cotton-farmer-project-india-gujarat-cottonconnect]]>