Comau è stata protagonista di un percorso di cambiamento radicale negli ultimi sei anni, che ha coinvolto in maniera profonda tutte le persone che ci lavorano (oggi oltre 14.000 nel mondo). Quali sono stati i fattori che hanno determinato l’avvio di questo processo?
Pinto – La nostra azienda opera da quarant’anni nel campo dell’automazione industriale e fin dall’inizio la competenza tecnica ha prevalso in maniera innegabile su quella gestionale, che era invece molto trascurata. Il problema della gestione del cliente era così radicato, quasi strutturale direi, che la maniera più semplice per affrontarlo era… rimuoverlo, ignorarlo. Quindi, innanzi tutto, volevano rifocalizzare Comau sui clienti e sulle persone. Probabilmente, però, un processo di rinnovamento così radicale non sarebbe partito se la nostra situazione economica non fosse stata a metà dello scorso decennio davvero difficile, tale da mettere in discussione l’esistenza stessa dell’azienda. Il management ha avuto il coraggio di prendere atto che non si poteva fare altro che innescare un intervento di cambiamento profondo ed esteso a tutti.
Cremonini – La prevalenza della tecnologia, d’altronde, è connaturata con quello che da sempre è il nostro mercato principale: l’automotive. L’automobile è un prodotto da grandissimi numeri (nel 2016 si supererà la soglia annuale di 100 milioni di automobili costruite nel mondo), ha un costo unitario alto, e il suo procedimento produttivo è molto complesso. Nessun altro settore combina tutti e tre questi fattori e i livelli di specializzazione e di competizione sono di conseguenza sempre al massimo. E’ naturale che Comau, che deve progettare e realizzare le linee di produzione con grande anticipo rispetto alla produzione dei nuovi modelli, si sia sempre distinta perché i suoi uomini possiedono grandi competenze tecniche. Il problema era proprio quello di spostare l’attenzione dalla conoscenza delle tecnologie, che era straordinaria, alle abilità gestionali e manageriali, che invece mancavano. Quello che abbiamo dovuto fare, in altre parole, è stato riportare in primo piano il vero cuore della nostra attività, che è la capacità di gestire i progetti.
Per fare questo doveva scattare una molla specifica?
Pinto – Forse la questione fondamentale all’inizio era quella di ricreare la fiducia. Ci siamo detti: bisogna riconquistare la fiducia dell’azionista, la fiducia dei clienti e, cosa più importante di tutte, la fiducia delle persone che in Comau ci lavorano e che stavano vivendo una sorta di crisi di identità: se siamo leader tecnologici nel mercato dei sistemi di automazione – ci si interrogava – perché i risultati economici sono così negativi? Poiché il problema risiedeva nelle relazioni commerciali e nella capacità di gestire i progetti, la strada da percorrere non poteva essere che quella del coinvolgimento di tutto il personale.
Ci sono state resistenze?
Pinto – Direi proprio di no. Il nostro, se vogliamo, è un “mondo di ingegneri” e, come abbiamo detto, prevale il sapere tecnico che determina, e purtroppo anche limita, il concetto di leadership. Ma, proprio per la prevalenza ingegneristica, spicca anche una cultura aziendale votata alla soluzione dei problemi. Quando devono realizzare una linea produttiva per i nostri clienti, gli ingegneri e tutti i nostri tecnici sono abituati a ragionare così: “c’è un problema? Bene, lo affrontiamo e lo risolviamo”. Lo stesso atteggiamento è stato confermato di fronte alla necessità del cambiamento gestionale interno. In tutto questo, un ruolo non secondario è giocato dal gusto della sfida: più la sfida sembra difficile, più diventa importante e stimolante risolverla. Devo poi dire che il processo di rinnovamento è stato anche agevolato dall’abitudine al confronto, che fa parte della cultura Comau in tutti i paesi in cui operiamo.
Come avete proceduto?
Pinto – Attraverso una profonda azione di coinvolgimento e partecipazione. Innanzi tutto, abbiamo ascoltato. E’ stata un’attività fondamentale, che ha dato risultati straordinari. Pensi che tutti i tool operativi, tutte le best practices che sono entrate a far parte dei nostri processi quotidiani, sono nate proprio da questa attività di ascolto. Se vogliamo schematizzare, il processo che abbiamo seguito è sintetizzabile in quattro punti: siamo partiti, come abbiamo detto, dall’ascolto attivo, passando poi per la diagnosi condivisa delle criticità e quindi abbiamo spinto per la generazione di modelli, intesi come obiettivi. Infine, abbiamo stimolato la creazione degli strumenti utili per applicare i modelli individuati.
Cremonini – Il processo di miglioramento è stato condotto attraverso due diverse iniziative, che abbiamo denominato project management e people management. Nel primo caso, l’attività di ascolto ha confermato che la leadership verso il cliente si manifestava unicamente sugli aspetti tecnici dei progetti, mentre la gestione in termini di tempi e costi era molto scarsa. La conferma di questa situazione ci è stata fornita dagli stessi clienti, che abbiamo coinvolto attraverso un’indagine sulla percezione di Comau e sulle loro esperienze con noi.
Cosa dicevano i clienti?
Cremonini – Le faccio solo un esempio sul tema un po’ ambiguo della flessibilità. In Comau la fase di allestimento della linea avviene direttamente nella fabbrica del cliente. In queste condizioni, l’obiettivo dei nostri tecnici, la loro sfida come si diceva prima, era e in parte è ancora quella di “fare l’impossibile dal punto di vista tecnico pur di soddisfare le richieste del cliente”. Questo atteggiamento, pur apprezzato, non tiene però conto delle implicazioni sui costi della commessa e sui tempi di realizzazione, e nemmeno delle implicazioni relazionali, in termini di reporting e feedback per esempio. Fattori che si ripercuotono non solo sulla produttività della commessa per Comau, ma direttamente sul cliente.
L’attenzione quindi si è concentrata tutta sulle persone…
Pinto – Sì, siamo intervenuti più sulle persone che sui processi. Abbiamo lavorato su un nuovo concetto di leadership, sia all’interno dell’azienda, sia nei confronti dei clienti, che è diventato la leva per gestire il cambiamento. E per “nuova” leadership intendiamo proprio la capacità di gestire al meglio risorse e progetti, sviluppando caratteristiche manageriali individuali positive e aggreganti. Per applicare questi concetti ci siamo mossi con un mix di pragmatismo e creatività. In altre parole, abbiamo tracciato un percorso in maniera molto precisa (come gli americani, come i tedeschi), ma l’abbiamo affrontato attraverso l’ascolto di tutti e il completo coinvolgimento della nostra struttura, cercando di sviluppare la creatività che è insita in un’azienda che è e rimane italiana.
Comau ha nel tempo acquisito diverse aziende, in realtà geografiche anche distanti. Questo processo globale di miglioramento doveva anche puntare su una percezione più unitaria del valore del brand?
Cremonini – Sì, ci siamo concentrati soprattutto sui valori che al brand sono collegati. Andare a riempire di contenuti il brand Comau ci ha permesso di utilizzarlo come strumento di unificazione delle persone in azienda. Ci ha permesso di costruire una visione condivisa di che cosa volesse essere Comau per i suoi clienti e di cosa significasse questo in termini di comportamenti interni. Nel 2009 è partita una piattaforma, che abbiamo chiamato C2B (Comau to Business) che ha coinvolto, in una serie di workshop, oltre cento persone provenienti da tutte le sedi internazionali dell’azienda. L’obiettivo è stato quello di trasmettere al mercato, attraverso un articolato piano di marketing, la stessa immagine di Comau ovunque nel mondo.
Appunto, la dimensione internazionale di Comau ha rappresentato un problema in più?
Pinto – No, è una situazione complessa, ma rappresenta invece uno stimolo continuo e affascinante. In generale, i problemi emersi nella nostra fase di ascolto sono risultati abbastanza simili in tutti i nostri stabilimenti nel mondo. Solo in Cina è emersa, diversamente che altrove, una tematica differente che riguarda il gap generazionale: in quel Paese i capi sono spesso molto più senior dei loro sottoposti e si può generare una relazione, a volte una contrapposizione, del tipo genitori-figli. In generale, però, siamo abituati a lavorare con clienti in tutto il mondo e la dimensione internazionale, anzi interculturale, fa parte della nostra quotidianità.
Torniamo allo sviluppo delle competenze manageriali e al concetto di leadership di cui parlavano prima. Cuore di questo processo è il progetto “Lead to profit”. Cosa è?
Pinto – E’ il programma di coinvolgimento e formazione che ha l’obiettivo di rafforzare le competenze gestionali dei manager e si focalizza su quattro importanti aree di lavoro: engagement, execution, quality e cost management. Al progetto “Lead to profit”, che è partito nel 2011 ed è tutt’ora in corso, prendono parte tutti i manager del nostro gruppo, che sono oltre 300. Il piano prevede la diffusione di strumenti operativi, un percorso individuale di miglioramento e di coaching, delle sessioni formative e un sito intranet dedicato.
A proposito di strumenti di comunicazione, sul fronte del project management cosa è stato fatto?
Cremonini – Abbiamo agito, in maniera integrata, sia sulla comunicazione interna, sia su quella esterna. Nel primo caso, abbiamo sviluppato un sito globale per il project management e abbiamo favorito la nascita di una vera comunità trasversale tra i nostro project manager, facendo leva sullo scambio delle conoscenze tra le diverse business unit e le diverse realtà geografiche. Per quanto riguarda la comunicazione verso l’esterno, abbiamo dapprima effettuato un benchmarking con alcune organizzazioni esterne, per poi avviare un programma di relazioni con Università e organizzazioni aziendali, come i Politecnici di Torino e Milano, il Mip, il Sole 24 Ore. Abbiamo infine avviato un programma di comunicazione dei risultati raggiunti attraverso la partecipazione a convegni e seminari e attraverso un’attività di informazione sui media.
Quali sono stati i risultati di tutto questo processo di cambiamento?
Pinto – Eccellenti sotto tutti i punti di vista. I conti sono tornati in ordine. L’immagine verso i nostri clienti è migliorata in modo esponenziale: non solo adesso siamo percepiti come “diversi da prima”, ma anche “diversi dai nostri concorrenti”, proprio grazie alle nostre nuove capacità gestionali, di apertura, di comportamento, di leadership, e tutto questo si traduce in un vero vantaggio competitivo. E poi, all’interno dell’azienda, si è generato un grande entusiasmo, che a sua volta ha portato a continuità e stabilità nel management. Alcuni processi sono diventati così naturali, organici direi, che ormai non è più necessario promuoverli e nemmeno organizzarli.
Ma questa esperienza… si può vendere all’esterno?
Cremonini – E’ quello che vogliamo fare. Per questo abbiamo creato Comau Consulting ed eComau, concentrata sulla progettazione di soluzioni sostenibili per le aziende. Come dicevamo prima, arriviamo dal mondo molto complesso dell’automobile, dove domina la necessità di gestire il processo produttivo nella maniera più efficiente possibile. Abbiamo allora, da un lato esportato questo nostro know how in altri settori, come l’industria aerospaziale, l’agricoltura, il food & beverage. Dall’altro lato, andiamo a sviluppare soluzioni alla ricerca di ulteriori nicchie di efficienza. Per esempio, la produzione di ogni automobile costa 300/400 euro di energia: ridurre questo costo è un obiettivo importante.
Ma se siamo intimi conoscitori dei processi produttivi dal punto di vista tecnico, ora siamo in grado di aggiungere l’esperienza gestionale di cui abbiamo parlato finora. Siamo così diventati credibili consulenti di processo a tutto tondo e possiamo affrontare sfide di project management davvero complesse. Per questa attività abbiamo costituito due team dedicati, uno in Italia e uno negli Stati Uniti.
L’esperienza Comau è stata anche raccolta in un libro, “Project and people Management” edito da McGraw-Hill. Come è nata questa iniziativa?
Pinto – Abbiamo immaginato questo libro, di cui sono coautore assieme ai colleghi Mauro Fenzi e Ezio Fregnan, come una tappa di tutto il percorso che è stato fatto. Il nostro obiettivo è stato duplice. All’interno di Comau per testimoniare a tutti: “hei, ragazzi, ce l’abbiamo fatta!”. All’esterno per condividere questa esperienza, perché riteniamo che il confronto tra diverse realtà ed esperienze sia una delle chiavi di successo delle organizzazioni aziendali complesse. Anche il libro è stato una sfida, ma volevano trasmettere un segnale fortemente positivo: cambiare e avere successo, partendo da situazioni davvero complicate, si può. E noi siamo orgogliosi di esserci riusciti.
Quando è stato pubblicato?
Pinto – E’ fresco di stampa ed è uscito in occasione del quarantennale della nostra azienda, che viene celebrato quest’anno. Lo vogliamo portare in giro per il mondo e il primo passo sarà la sua traduzione in cinese.
Mi ha stupito che un libro di oltre cinquecento pagine sul tema del Project and People Management sia occupato per quattro quinti dalla “scatola degli attrezzi”, insomma da consigli ed esempi pratici, limitando la contestualizzazione alle prime pagine ed evitando qualsiasi riferimento teorico.
Cremonini – Gliel’abbiamo detto prima, no? Siamo un mondo di ingegneri.
La Summer School di Comau. Perché c’è bisogno di “ponti” tra scuola e impresa Ezio Fregnan, HR Training manager di Comau e Teksid, racconta cosa ci facevano quest’estate 30 studenti italiani del Politecnico di Torino a Detroit Abbiamo organizzato la Summer School a Detroit, a cavallo tra luglio e agosto, presso la nostra Management Academy. L’iniziativa è stata concepita assieme al Politecnico di Torino. Volevamo che costituisse per gli studenti una full immersion nelle dinamiche che caratterizzano una società globale come Comau. Il percorso formativo era diviso in due moduli, uno dedicato al project management e uno al people management.Abbiamo dato agli studenti gli stessi strumenti che hanno a disposizione i nostri manager perché costruissero da soli le loro soluzioni, aiutati individualmente dai nostri coach. Noi siamo convinti che sia indispensabile creare un vero ponte tra la scuola e le imprese. Perché i nostri giovani hanno bisogno di vivere e capire l’ambiente aziendale, le sue logiche, i suoi valori, che sono diversi, anche molto diversi, da quelli che vivono a scuola e all’Università. Ciascun studente è stato “osservato” per tutti i tredici giorni della Summer School da un osservatore Comau, che alla fine del corso gli ha dato una valutazione aziendale, un feedback che tutti hanno accolto con grande interesse, giudicandolo molto utile per il loro futuro ingresso nel mondo del lavoro. |