Marco Piccolo (Reynaldi): «Perché la nostra economia diventi davvero sostenibile serviranno consapevolezza e formazione»
Il monito dell’imprenditore. Per non rimanere indietro le aziende italiane dovranno attivare al più presto percorsi di sostenibilità
Marco Piccolo si definisce un imprenditore etico alla ricerca di un’economia sostenibile e inclusiva. È amministratore delegato della Reynaldi di Pianezza, nel torinese, azienda specializzata nella produzione di prodotti cosmetici per conto terzi e da qualche mese ha ricevuto la delega alla CSR in Confindustria Piemonte, oltre a essere consigliere dell’Unione Industriale Torino. In fatto di sostenibilità ha le idee molto chiare e soprattutto ha progetti ben definiti per coinvolgere imprese e imprenditori.
«Ricercare un’economia sostenibile nasce da una consapevolezza morale del nostro ruolo sociale e della responsabilità che abbiamo nei confronti della società, dell’ambiente, del posto in cui viviamo – spiega l’imprenditore. «Non possiamo pensare di essere delle isole votate alla sola generazione di profitto ma dobbiamo capire che abbiamo un ruolo nei confronti della comunità. Il senso della felicità non sono i soldi, non è la macchina, non è la casa. La vera felicità – come dicono i santi – è donarsi agli altri. Essere generativo, aiutare gli altri a stare meglio: questo per me è un successo.»
Non solo profitto
Una soddisfazione personale che diventa anche successo aziendale: dal 2008 la Reynaldi è cresciuta del 25% ogni anno. «È una conseguenza. Non sono alla ricerca di un utile a tutti i costi, sono alla ricerca di un luogo di lavoro in cui tutti possiamo vivere serenamente. E l’azienda cresce seguendo questa direzione.» Dal punto di vista ambientale i prodotti Reynaldi sono a zero consumo di acqua, grazie a un sistema di recupero delle acque di produzione, filtraggio e riutilizzo. L’azienda è passata all’energia verde, ottenendo una riduzione della produzione di CO2 del 44%. Il recupero degli scarti di produzione è al 97%.
Ma l’impegno dell’azienda, da vera società benefit, nel creare un impatto positivo su persone, società, ambiente non finisce qui: altri elementi fondamentali sono il rispetto del tempo libero dei lavoratori e il riconoscimento del lavoro svolto (anche dal punto di vista economico: Piccolo ha deciso di dividere il 30% degli utili con i dipendenti). La filosofia di lavoro della Reynaldi non è solo etica, ma punta all’efficienza, all’aumento della produttività e della competitività. Perché essere virtuosi paga: l’importante è remare tutti nella stessa direzione. «Non è sufficiente interiorizzare i principi della sostenibilità, comunicarli e agire di conseguenza, ma è essenziale anche coinvolgere le persone. Perché l’azienda è una comunità di persone: nel 2000 in Reynaldi avevamo un dipendente, oggi siamo 70. Il mio lavoro vale solo se le persone che lavorano con me riescono ad accogliere questi principi e condividerli.»
La sostenibilità: una vocazione e non una scelta di marketing
Attenzione, però. La sostenibilità non può essere vissuta come una moda passeggera, né come un escamotage per vendere di più. «Incorporare i valori di sostenibilità in un prodotto è sicuramente un vantaggio competitivo, che determina un aumento di potenziale di vendita e quindi di profitto. Ma ragionare in questi termini, facendosi guidare da una finalità che punta solo al profitto, è uno snaturamento dei processi di sostenibilità reali.»
Insomma, essere sostenibili è molto di più, quasi un imperativo morale. «Deve essere una scelta vocazionale, da parte di persone che sanno chi sono, riconoscono il loro ruolo all’interno di una società e scelgono come agire in relazione alle proprie basi morali.»
Agire ora o rimanere indietro
Ma le imprese italiane si stanno adoperando per fare propri i principi della sostenibilità? Con la delega alla CSR di Confindustria Piemonte e la sua partecipazione all’Unione Industriale di Torino, Piccolo ha sicuramente un punto di osservazione privilegiato sugli imprenditori e sulle aziende.
«La sostenibilità è una scienza nuova e ancora è necessaria un’azione di divulgazione dei suoi principi e delle sue nozioni di base. Mancano le professionalità. Il sistema industriale italiano storicamente si è sempre contraddistinto per i processi di economia circolare, di efficienza: non avendo materie prima ci siamo sempre inventati modi alternativi per risparmiare e riutilizzare. In questo momento, in cui la sostenibilità diventa un driver di crescita strategico insieme al digitale, non dobbiamo dimenticare questa leadership nella nostra storia industriale. Non possiamo rimanere indietro. Ci vogliono nuove competenze, professionalità, persone che siano in grado di progettare il futuro in un momento di stravolgimento come quello attuale.»
Diffondere la Buona Novella fra le imprese
Quindi che fare per rimanere al passo con i tempi e competere con Paesi all’avanguardia come la Germania? «Come Confindustria e Unione Industriali di Torino stiamo lavorando tantissimo – racconta l’imprenditore. «Su Torino e sul Piemonte ci stiamo adoperando perché ci sia uno standard di assessment unico per tutti che renda possibile la comparazione dei dati attraverso specifici KPI. Il modello al quale ci stiamo ispirando è quello del Global Compact delle Nazioni Unite. E da qui vogliamo partire per estendere poi lo stesso modello alla Confindustria nazionale, così da avere un quadro di riferimento univoco per il sistema industriale. Inoltre, stiamo lavorando con le banche per generare un rating che tenga conto dei criteri di sostenibilità.»
Marco Piccolo è convinto, però, di una cosa: perché imprese e imprenditori ingranino davvero la marcia, oltre a elaborare strumenti come standard di assessment e sistemi di rating, sarà fondamentale lavorare sulla consapevolezza delle persone e puntare sulla formazione. «Prima di tutto ci vuole consapevolezza di quanto l’ambito della sostenibilità sia strategico: si pensi ai fondi del Recovery Found, alla direzione in cui sta andando la finanza, alle richieste dei consumatori. Una volta che si è lavorato su questo, allora si può accompagnare l’imprenditore in un percorso di autovalutazione e di formazione. Un percorso che devono fare internamente anche le strutture territoriali di Confindustria, per diventare un punto di riferimento in questa transizione. Su Torino e in Regione Piemonte lo stiamo già facendo. E – perché no? – il prossimo anno la formazione si potrebbe tenere via webinar a livello nazionale, coinvolgendo Confindustria nazionale.»
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