Net Zero: dove si gioca la credibilità degli impegni aziendali

28 Mar, 2025 | Focus Mondo

Net Zero, l'ultimo report Pwc

Per capirci davvero, dobbiamo uscire dalla logica dello scontro.

Il nuovo report sullo stato della decarbonizzazione di PwC analizza l’avanzamento delle imprese verso gli obiettivi Net Zero, partendo da un campione di oltre 6.800 aziende globali che nel 2024 hanno partecipato all’iniziativa CDP (Carbon Disclosure Project) – il sistema di rendicontazione ambientale più utilizzato al mondo. Il CDP, fondato nel 2000, è un’organizzazione non profit che fornisce una piattaforma strutturata per misurare e comunicare i dati ambientali, utilizzata da imprese, enti pubblici e investitori.

Il quadro che emerge è fatto di luci e ombre. Da un lato, più di 4.000 imprese hanno dichiarato impegni climatici — nove volte di più rispetto a cinque anni fa e il 37% sta addirittura intensificando il proprio impegno. Dall’altro, il divario tra ambizione e risultati resta ampio: solo il 10% dei settori è in linea con i target climatici. Segno che la direzione è giusta, ma il ritmo non è sufficiente.

Il dato più incoraggiante? L’84% delle aziende continua a sostenere i propri obiettivi anche in caso di cambiamenti dirigenziali. È un segnale che la sostenibilità sta diventando parte integrante delle strategie aziendali, e non solo una “finestra di opportunità” per singoli CEO.

Misure concrete o scorciatoie sostenibili?

Il report PwC segnala che il 67% delle aziende è in linea con i propri target di riduzione delle emissioni dirette e indirette — i cosiddetti Scope 1 e Scope 2, secondo il Greenhouse Gas Protocol. Scope 1 riguarda le emissioni dirette generate da fonti di proprietà o controllate (ad esempio, impianti e veicoli aziendali), mentre Scope 2 include le emissioni indirette legate all’energia acquistata e consumata (elettricità, calore, raffreddamento).

Ed è proprio su Scope 2 che si concentra la maggior parte dei progressi: molte imprese fanno leva su strategie focalizzate sull’acquisto di elettricità da fonti rinnovabili, tramite contratti diretti (noti come PPA, Power Purchase Agreement) o certificati di energia green.

Ma attenzione: le strategie “Scope 2-centriche” rischiano di diventare un alibi. Se non accompagnate da interventi strutturali sull’efficienza energetica, l’innovazione di prodotto e la riduzione della domanda energetica, rischiano di mascherare la mancanza di trasformazione reale.

Scope 3: il vero test di coerenza

La sfida più grande continua a essere la stessa e si chiama Scope 3: l’insieme delle emissioni indirette lungo la catena del valore, come quelle generate dai fornitori, dalla logistica, dall’uso e dal fine vita dei prodotti venduti. Per molte imprese, lo Scope 3 rappresenta oltre il 90% dell’impronta carbonica complessiva.

E qui il quadro si complica. Solo il 54% delle aziende è in linea con i propri obiettivi Scope 3. Le riduzioni effettive arrivano perlopiù dall’uso dei prodotti venduti — ad esempio grazie all’efficienza energetica — mentre restano indietro gli sforzi a monte, su forniture e processi produttivi. In altre parole, i programmi di coinvolgimento dei fornitori sono ancora in fase embrionale.

La CS3D e la filiera come terreno di trasformazione

La buona notizia è che la normativa europea sta forzando il cambiamento. La nuova Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CS3D – ndr: in corso di revisione ora all’interno del Pacchetto Omnibus), impone alle imprese di identificare e gestire i rischi ambientali e sociali lungo tutta la catena di fornitura, andando ben oltre la semplice rendicontazione.

È una svolta culturale e operativa: significa passare da un modello centrato sull’azienda a un modello di sostenibilità condivisa, dove ogni partner di filiera viene coinvolto nella transizione. E anche se – come pare dalle ultime discussioni in Parlamento europeo – la normativa riguarderà solo le grandi imprese, è pur vero che la richiesta di maggiori informazioni ESG penetrerà a cascata nelle varie linee di fornitura.

PMI: non più comparse, ma protagoniste

In questo scenario, le piccole e medie imprese assumono un ruolo sempre più centrale. Molte grandi aziende, infatti, stanno estendendo i propri target di decarbonizzazione a fornitori e subappaltatori. Le PMI, spesso anello debole della catena, si trovano così a dover misurare e ridurre le proprie emissioni per restare nel mercato e contribuire agli obiettivi Net Zero delle aziende capofiliera.

Non è un compito semplice: richiede accesso a competenze, strumenti digitali e risorse finanziarie. Ma offre anche un’opportunità concreta di crescita, innovazione e consolidamento della reputazione, oltre che resilienza sul lungo termine. Affiancare le PMI nella transizione non è solo un dovere etico o normativo, ma un investimento strategico per tutta la filiera. Le capofiliera sapranno prendere in carico questa sfida?

La rendicontazione è solo l’inizio

Il report PwC evidenzia un legame diretto tra solidità della governance climatica e performance ambientale: le aziende che integrano la sostenibilità nella strategia, nei sistemi di incentivazione e nella gestione del rischio hanno più probabilità di rispettare i propri target. In questo contesto, rendicontare e agire non sono due momenti separati, ma parti integranti di un unico processo di transizione. Una rendicontazione credibile, trasparente e basata su dati verificabili è ciò che dà forza e tracciabilità all’azione; allo stesso tempo, senza interventi concreti e trasformativi, il reporting rischia di perdere significato e fiducia.

Una strategia di decarbonizzazione davvero efficace deve quindi connettere in modo continuo misurazione e trasformazione, combinando:

  • misure di breve periodo, come l’ottimizzazione energetica;
  • investimenti strutturali in innovazione, materiali e prodotti a basse emissioni;
  • trasparenza nella comunicazione e coinvolgimento attivo degli stakeholder lungo la catena del valore.

Tra il dire e il fare: il valore della coerenza

Nel dibattito pubblico, la sostenibilità spesso rischia di essere percepita come un esercizio di storytelling più che come una leva di cambiamento. Eppure, i dati mostrano che le aziende che avanzano davvero sono quelle che allineano rendicontazione e azione, strategia e operatività, visione e filiera. Quelle che riconoscono la complessità e rispondono con coerenza.

Nell’ambito della transizione ecologica, Scope 3 è un vero punto di svolta. Le PMI rappresentano il motore spesso invisibile, ma essenziale, di questa trasformazione. E la CS3D sarà il metro con cui misurare la responsabilità lungo tutta la supply chain. La sfida non è solo “fare” sostenibilità, ma renderla credibile, condivisa, trasformativa. Come farlo? Con dati e azioni alla mano.

Micol Burighel