Bianca Nogrady Quando il presidente americano Donald Trump annunciò la sua intenzione di ritirare gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi sul clima, si sarebbe potuto aspettare un vibrante applauso dal settore industriale, contento che tutto poteva andare avanti come sempre. Invece è successo il contrario. Negli Usa, il mondo imprenditoriale si sta mettendo in prima linea per avviare le azioni necessarie per far fronte al cambiamento climatico. In Australia sono sempre più numerose le grandi imprese che dichiarano pubblicamente il proprio impegno ad affrontare la questione clima, nonostante l’atteggiamento del governo federale che tarda ad introdurre politiche in risposta alla crisi. Imprese in tutto il mondo – dalle piccole aziende a gestione familiare alle grandi società della graduatoria Fortune 500 – non solo chiedono politiche sul cambiamento climatico, ma stanno traducendo le loro parole in azioni. “Le imprese capiscono sempre meglio l’impatto del surriscaldamento globale sulle proprie attività”, sostiene Lou Leonard, responsabile cambiamento climatico e energia al WWF. “Le aziende agricole degli stati centrali americani come gli spedizionieri che esportano i prodotti alimentari fuori dagli Usa, le imprese che fabbricano le componenti delle turbine eoliche e dei pannelli solari, le GDO multinazionali, hanno già sperimentato in prima persona il cambiamento climatico – osserva Leonard. L’aver capito il significato di questi impatti le spinge a migliorare la propria impronta e quella delle loro filiere”. Tale consapevolezza è anche all’origine di diverse iniziative, ad esempio We Are Still In , una dichiarazione aperta di continuato impegno per allinearsi con gli accordi di Parigi. Ormai la dichiarazione è stata sottoscritta da 1.565 aziende e investitori, tra cui colossi come Apple, Walmart, Microsoft, Adidas, Facebook e Google, e leader di 208 città e contee, nove stati americani e 309 collegi e università. Un’altra iniziativa, la cosiddetta Unreasonable Goals, ideata dall’Unreasonable Group, lavora con enti pubblici e privati – non ultimo lo State Department statunitense – per realizzare i 17 Sustainable Development Goals dell’Onu. Daniel Epstein, fondatore e CEO dell’Unreasonable Group,è convinto che il mondo imprenditoriale salverà il mondo. “Sono ottimista perché so che gli imprenditori con i quali noi di Unreasonable Group collaboriamo sono i futuri titani del settore industriale e anche perché alcune tra le maggiori imprese del mondo stanno ricalibrando i propri business model e filiere sotto la bandiera della sostenibilità”. Tra queste aziende vi è un’azienda australiana attiva nel settore dell’energia rinnovabile, Carnegie Clean Energy, che ha annunciato recentemente la sua selezione come industry partner per guidare le azioni rispetto al 7° SDG: energia economica e pulita. Il CEO di Carnegie Clean Energy, Michael Ottaviano, spiega che il progetto mira non a risolvere le problematiche dell’energia pulita tutto in un colpo, ma a prendere in considerazione una specifica regione e realizzare un benchmark che si potrà poi attivare su scala più ampia. “Credo che ormai siamo arrivati al punto – forse solo negli ultimi 12-18 mesi – dove è palese che l’energia rinnovabile è la strada da percorrere – afferma. Non si tratta più solo di una ragione ambientale, che è già un’ottima ragione, ma anche di una ragione economica”. Degli stabilimenti Apple nel mondo, ventiquattro – tra cui quelli siti negli Usa e in Cina – utilizzano l’energia rinnovabile per il 100{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} del proprio fabbisogno e il 96{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} del budget globale per l’energia elettrica è servito da fonti rinnovabili. L’obiettivo del colosso del retail Walmart per il 2050 è di coprire il 50{f94e4705dd4b92c5eea9efac2f517841c0e94ef186bd3a34efec40b3a1787622} del proprio fabbisogno con l’energia rinnovabile e di raggiungere zero rifiuti inviati in discarica in quattro dei principali mercati. In Australia l’operatore di viaggi Intrepid Travel ha annunciato la propria intenzione di raddoppiare i contributi di carbon offset (azioni di mitigazione del CO2) attivati per ogni viaggio organizzato negli Usa, dicendo che “non è più possibile aspettare che il governo agisca nel campo del cambiamento climatico”. L’impegno equivale alla mitigazione di ulteriori 3000 tonnellate di CO2 quest’anno, oltre a quella già operata da Intrepid. “Sentiamo la responsabilità di cercare di restituire qualcosa per quanto riguarda il cambiamento climatico – osserva Brett Mitchell, responsabile Intrepid per l’area Asia Pacific. E’ un fenomeno che si ripercuote sul settore del turismo ma del quale siamo anche una causa”. Intrepid Travel è carbon neutral dal 2010. Ma le sue azioni in questo campo hanno il loro costo; Intrepid ha speso più di $1,5 milioni su progetti per l’energia rinnovabile. L’investimento è sicuramente valido, dice Mitchell. “Siamo convinti che il cambiamento climatico esista, che sia vero, ed dobbiamo affrontarlo”. Dieci anni fa, in assenza di indicazioni politiche o normative sul clima, il mondo imprenditoriale era forse contento di stare con le mani nelle mani, risparmiando tempo e soldi, ma le cose non stanno più in questi termini dice Leonard. “Ci rendiamo conto che il nostro futuro dipende dal successo di questo sforzo, per cui non vogliamo certo che gli Usa si tirino indietro, non vogliamo correre il rischio di dazi sui nostri prodotti, né di pregiudicare il nostro accesso ai mercati in altri paesi”. E allora il business è in grado di realizzare da solo ciò che il mondo politico non riesce a fare? Secondo Leonard le imprese possono fare da apripista per rispondere al cambiamento climatico nel breve termine, ma prima o poi i politici dovranno definire un quadro strategico per promuovere una rapida riduzione delle emissioni. Nel frattempo, le attività del settore industriale stanno colmando la lacuna. “Ci serve la leadership rappresentata da azioni concrete nell’economia reale degli Usa per creare un ponte verso il momento in cui il mondo politico introduca le necessarie strategie – conclude Leonard. Ci serve quella normalizzazione politica che arriva nel momento in cui i politici dicono, sì, questo ha un senso”.   FONTE: https://www.theguardian.com/sustainable-business/2017/jun/30/no-more-business-as-usual-the-corporates-stepping-up-to-save-the-planet      ]]>