Report di sostenibilità: cinque consigli per un uso responsabile
Come affrontare il report di sostenibilità in questa fase di evoluzione? Articolo di Giulia Devani e Stefano Martello uscito originariamente sul numero di agosto di Ecoscienza, il magazine di ARPAE Emilia-Romagna (qui).
Lungi dall’essere un esclusivo documento tecnico di misurazione, il report di sostenibilità esprime anche una vocazione comunicativa e reputazionale, sia dal punto di vista della rendicontazione e della trasparenza nei confronti di tutti i pubblici dell’organizzazione, sia dal punto di vista della responsabilità che la sua stessa emanazione sottende. Connettere e governare questi due fronti – solo apparentemente lontani e, in realtà, contigui – significa disporre di una dotazione strumentale profondamente multidisciplinare e, per questo, conforme alla complessità delle sfide ambientali in essere.
Cinque consigli per un utilizzo responsabile
La nuova direttiva europea Csrd (Corporate sustainability reporting directive) segna una svolta significativa, ampliando il perimetro delle imprese soggette a obbligo di rendicontazione e introducendo standard comuni di reporting. Le preoccupazioni delle organizzazioni di fronte a questa sfida possono essere di varia natura, in relazione al livello dimensionale e soprattutto alla maturità di ogni realtà rispetto alla gestione dei temi sociali, ambientali e di governance (aspetti che spesso vanno in parallelo, anche se non è cosa rara incrociare una grande azienda che è all’inizio del suo percorso di rendicontazione).
Chi è al primo approccio si chiede come attivare gli ingranaggi della macchina a livello operativo e organizzativo e quanta fatica, in termini di tempo e risorse, richiederà questo nuovo processo. Chi invece è già un veterano del campo è in paziente attesa delle evoluzioni che interesseranno la Csrd, già in vigore a livello europeo ma in fase di adozione nei singoli Stati (ndr: oggi adottata in Italia) e, soprattutto, ancora in definizione rispetto ad alcuni aspetti (per esempio sui nuovi standard europei di rendicontazione a cui tutte le organizzazioni dovranno adeguarsi, assimilabili all’impalcatura che tiene in piedi un report).
Ecco perché, più che mai, in questo momento è importante tenere bene a mente alcuni punti chiave, una sorta di bussola per orientarsi in questa fase di transizione.
1) Aggiornarsi
Come abbiamo detto, il quadro normativo è in costante movimento. Diventa quindi vitale tenersi informati sulle novità legislative e sulle best practices in materia di sostenibilità. Oltre ad ampliare la platea di imprese tenute a rendicontare, la Csrd cambia profondamente il modello di riferimento. Primo, punta molto sulla digitalizzazione delle informazioni, in un’ottica di trasparenza. Digitalizzare i dati significa renderli disponibili in maniera diretta e non mediata a tutti gli stakeholder. Secondo, l’assurance diventerà un requisito obbligatorio. E terzo ma non ultimo, la nuova direttiva provocherà un effetto di propagazione anche verso le imprese non incluse direttamente nella normativa ma che fanno parte delle catene del valore, alle quali verranno richiesti sempre più dati Esg. Questo perché le organizzazioni saranno chiamate a essere responsabili anche della propria supply chain, soprattutto su tematiche sensibili come gli impatti ambientali e i diritti umani.
2) Conoscere gli standard di rendicontazione
I nuovi standard sono gli Esrs (European sustainability reporting standards). L’evoluzione delle metriche richiede uno sforzo di comprensione e adattamento per capire in che modo gli standard si declinano sulle esigenze specifiche dell’organizzazione, anche perché gli Esrs saranno multisettoriali. Inoltre, una delle grandi novità è il nuovo approccio alla doppia materialità che, a partire dal confronto con i principali stakeholder, dà una visione completa degli impatti dell’organizzazione, sia rispetto a quelli che l’azienda crea verso l’esterno (ambiente, società, comunità, territorio), sia in relazione agli impatti finanziari che l’azienda stessa vive sulla propria pelle come quello, non indifferente, di adattarsi al cambiamento climatico attraverso nuove infrastrutture più resilienti.
3) Gestire la macchina organizzativa
La realizzazione di un report di sostenibilità richiede un piano d’azione ben definito che tenga conto di obiettivi, risorse disponibili e coinvolgimento del personale. Anche l’approccio è molto importante: l’impegno dall’alto è sempre un input imprescindibile, che rende tutto più semplice. Utilissima anche l’adozione di strumenti digitali che permettano una raccolta dati funzionale anche ad altre attività (ad esempio rispondere a questionari Esg di banche oppure di clienti). Porsi un obiettivo temporale chiaro, inoltre, aiuta a calendarizzare meglio e a mantenere la barra dritta anche nei momenti in cui le attività sono più intense. Le soluzioni preconfezionate, per quanto convenienti e rapide, non funzionano mai bene. Ogni progetto di reporting deve essere unico e soprattutto deve far emergere l’unicità dell’organizzazione.
4) Coinvolgere gli stakeholder
Ascoltare e ingaggiare i propri interlocutori strategici è cruciale per garantire che il report di sostenibilità rifletta fedelmente l’impegno dell’azienda verso temi rilevanti sia per la comunità interna sia per quella esterna: anche a questo serve l’analisi di materialità, ad ancorare i temi di sostenibilità di un’azienda al dialogo con gli stakeholder. Coinvolgerli dà sostanza, coerenza, trasparenza e credibilità all’intero processo di reporting.
5) Comunicare, sempre
Una strategia comunicativa che accompagni tutte le fasi del processo di reporting, dalla definizione degli obiettivi alla valorizzazione dei risultati, è essenziale per coinvolgere collaboratori e stakeholder esterni, promuovendo una cultura aziendale orientata alla responsabilità sociale e ambientale. Perché la comunicazione – nel suo significato originario di mettere in comune – è alla base di tutto: permette di stabilire gli obiettivi e i valori comuni sui quali costruire il progetto. Per esempio, formare le prime linee del management e il personale è, di fatto, comunicare, come lo è dialogare con gli stakeholder e coinvolgere il gruppo di lavoro.
L’attenzione ai processi interni non deve però far passare in secondo piano la necessità di dare conto all’esterno del proprio agire. Il report di sostenibilità non deve rimanere lettera morta né patrimonio di pochi tecnici. Per questo, la valorizzazione del documento deve essere parte integrante del progetto, rendendo i contenuti semplici (ma non banali), sintetici (ma non parziali), coinvolgenti (ma mai sensazionalisti). Come? Moltiplicando gli strumenti di comunicazione e ragionando sulle esigenze e sulle grammatiche dei diversi pubblici: via libera quindi a sintesi in più lingue, a infografiche animate e pillole video, a interviste agli stakeholder e siti web dedicati al progetto del report, a eventi di presentazione e diari online sulla sostenibilità.
Giulia Devani, Responsabile Area Reporting di Amapòla Società Benefit
Stefano Martello, Componente tavolo “Ambiente e sostenibilità”, Pa Social