“La maggior parte dei Paesi del G20 ha avviato l’attuazione degli SDGs, ma permangono importanti lacune, dovute anche al modo in cui gli obiettivi sono accolti dalla leadership politica e tradotti in meccanismi istituzionali”. Con queste parole si apre il rapporto “SDG Index and Dashboards Report”, realizzato dalla Fondazione Bertelsmann e dal Sustainable Development Solutions Network (Sdsn). La relazione di quest’anno include alcuni cambiamenti rispetto agli indicatori e agli indici. Pertanto questa edizione del rapporto non può essere pienamente confrontato con quelle del 2016 e 2017. La questione degli indicatori è complessa. Essi rappresentano i parametri concreti su cui misurare il livello di raggiungimento del Goal: alcuni sono comuni a tutte le nazioni che hanno sottoscritto gli impegni contenuti nell’agenda 2030 delle Nazioni Unite, altri sono calati nella realtà dei singoli stati rispondendo a particolarità e localismi altrimenti difficilmente misurabili. Pochi giorni fa avevamo analizzato, sinteticamente, le difficoltà dell’Italia nel perseguire e realizzare i 17 SDGs. Nella classifica globale siamo al 29° posto. Questo documento invece costituisce lo studio globale di maggiore spessore sulla distanza delle nazioni rispetto agli obiettivi di sviluppo sostenibile. Il rapporto ha comunque individuato alcune problematiche comuni nel cammino dei Paesi verso gli Sdgs. Le lacune permangono, e la politica può amplificarle o ridurle. Alcuni Paesi hanno infatti istituito unità di coordinamento dedicate, strategie, piani d’azione e sistemi di responsabilità, mentre altri sono in ritardo.
- “Nessun paese è sulla buona strada per raggiungere gli Sdgs”, afferma il documento. “Ad esempio, Svezia, Danimarca e Finlandia sono in cima all’indice del 2018”, prosegue il rapporto, “ma devono accelerare significativamente i progressi verso il raggiungimento di alcuni obiettivi, compreso l’obiettivo 12 (consumo e produzione responsabili) e l’obiettivo 13 (lotta contro il cambiamento climatico)”.
- I conflitti stanno portando a forti inversioni nei progressi degli SDGs. La maggior parte dei Paesi in via di sviluppo ha registrato miglioramenti significativi nel campo della povertà estrema, malnutrizione, accesso ai servizi sanitari e scolastici e accesso alle infrastrutture di base, ma questi progressi sono a rischio. Inoltre, “le lacune nel raggiungimento degli obiettivi sono maggiori per quanto riguarda il completamento dell’istruzione secondaria”, dichiara il rapporto.
- “I progressi verso modelli di consumo e produzione sostenibili sono troppo lenti”. I Paesi ad alto reddito ottengono i punteggi più bassi sull’obiettivo 12 e sull’obiettivo 14 (vita sott’acqua). Anche gli sforzi verso l’obiettivo 15 (vita sulla terra) sono insufficienti, e mostrano quanto siano necessari ulteriori sforzi per proteggere la biodiversità e promuovere la produzione e il consumo sostenibili.
- I Paesi ad alto reddito generano effetti negativi sugli SDGs, poiché il loro sistema di produzione provoca forti ricadute ambientali ed economiche, capaci di minare gli sforzi degli altri Paesi nel raggiungimento degli obiettivi. “Tuttavia, vi è un’alta variazione di ricadute tra Paesi con un reddito pro capite simile”, e ciò suggerisce che i Paesi possono ridurre i loro effetti negativi senza ridurre i loro redditi pro capite.
- I punteggi di questa classifica indicano dunque la posizione di un Paese in una scala da 0 (il peggiore) a 100 (il migliore). Il punteggio complessivo dell’indice svedese (85) suggerisce che il Paese ha compiuto l’85% del cammino necessario per raggiungere i 17 Sdgs.
“Osservando le tendenze, molti Paesi ad alto reddito non stanno compiendo progressi significativi su questioni relative al consumo e alla produzione sostenibili e in particolare alla protezione della biodiversità in relazione all’obiettivo 14, campo in cui la maggior parte dei Paesi ad alto reddito ristagna”.I Paesi a basso reddito, invece, tendono ad avere punteggi di indice SDGs più bassi, dovuti in parte alla necessità di concentrarsi in larga misura sul porre fine alla povertà estrema e sull’accesso ai servizi e alle infrastrutture di base. Inoltre, i Paesi più poveri tendono a non disporre di infrastrutture e meccanismi adeguati per gestire le questioni ambientali, al centro dei 17 goal. Per quanto riguarda nello specifico i Paesi Ocse, dal grafico possiamo notare che “ogni Paese ricco deve affrontare sfide significative”, come dichiara il rapporto. In particolare, i dati disponibili sul goal 12, 13, 14 e 15 suggeriscono che i Paesi dell’Ocse sono lontani dal raggiungimento di questi obiettivi, in fase di stallo o addirittura deterioramento. I bassi punteggi attuali e le deboli tendenze sull’obiettivo 2 (sconfiggere la fame) sono guidati da un’agricoltura insostenibile e da alti e crescenti tassi di obesità nella maggior parte dei Paesi dell’Ocse. A conti fatti, c’è ancora strada da fare per tutti i Paesi, e in particolare per quelli più ricchi, per raggiungere i goal e realizzare l’ambizione dell’Agenda 2030 di “non lasciare indietro nessuno“. Fonte: ASViS ]]>