Adam Corner

Da quasi 25 anni, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) pubblica rapporti periodici per avvertire il mondo dei pericoli del cambiamento climatico. Le conoscenze scientifiche accumulate in questi anni hanno una portata e una profondità sbalorditiva.
Il lavoro di raccolta, comparazione e sintesi di pubblicazioni provenienti da decine di discipline scientifiche e la successiva realizzazione di un documento in un formato fruibile da decisori pubblici di tutto il mondo, come base per le proprie politiche sul cambiamento climatico, è uno sforzo certosino fenomenale e nobile.

Eppure, in termini di capacità di catalizzazione di una risposta politica e pubblica proporzionata alla portata del problema del cambiamento climatico, i rapporti IPCC hanno avuto un impatto limitato.
Nonostante tutti gli sforzi per contestare i ragionamenti degli scettici e sfatare i luoghi comuni, l’opinione pubblica non ha fatto progressi rispetto a quando l’IPCC iniziò la sua attività. Nel Regno Unito, dove ormai da più di 10 anni i decisori pubblici accettano le conclusioni e le raccomandazioni dell’IPCC, la consapevolezza del pubblico riguardo al cambiamento climatico è regredita e il consenso politico comincia a frammentarsi.

Un rapporto pubblicato in questi giorni dalla Climate Outreach & Information Network osserva che sebbene l’IPCC riesca a raggiungere il proprio obiettivo di mettere al corrente i decisori del cambiamento climatico, tale ruolo deriva da un modello ormai obsoleto dell’integrazione della scienza nella società. Fare da catalizzatore per ottenere una risposta politica e pubblica adeguata significa rivedere il modo in cui il cambiamento climatico viene comunicato, passando dalla scienza alle storie umane.

Prendendo lo spunto da sedici interviste con leader della comunicazione del cambiamento climatico attivi nei media e nelle Ong britanniche, il rapporto Climate Outreach offre sette proposte per trasformare il ruolo dell’IPCC.

La tesi centrale è che i documenti prodotti dall’IPCC vadano affiancati da storie umane e da narrazioni forti che rendano viva la scienza. In un recente articolo sul New Statesman, Sarah Ditum afferma che “la sinistra ama controbattere con discorsi da intelligentoni. Ma i dibattiti si vincono raccontando storie umane.”  Un ragionamento simile si potrebbe formulare anche per coloro che comunicano la scienza climatica.

Le storie sono i mezzi con i quali capiamo il mondo, impariamo valori, costruiamo le nostre idee diamo una forma alle nostre vite. Le storie sono dappertutto: nei miti, nelle commedie, nelle vetrine decorate. Ma in genere sono assenti dalla comunicazione sul cambiamento climatico.

La scienza e le statistiche dell’IPCC non sono in grado di competere con le storie accattivanti degli scettici del cambiamento climatico o con l’aspetto prioritario di alcuni elementi mediatici di destra (dove la lotta di un solo individuo contro una turbina eolica vince contro mille scienziati che spiegano l’argomento a favore della decarbonizzazione). Per coinvolgere il pubblico, l’IPCC deve collaborare con partner in grado di partire dalla scienza per creare storie culturalmente credibili: che impatto avrà il cambiamento climatico sulle cose che amiamo?

Inoltre, il re-orientamento e la ristrutturazione dell’IPCC, affinchè fornisca scienza “su richiesta” vale a dire personalizzata secondo le esigenze dei diversi pubblici e stakeholder, potranno aumentarne enormemente l’importanza e l’influenza. I decisori pubblici hanno davvero bisogno di un rapporto così voluminoso ogni 5 anni? Gli scienziati che vi lavorano impiegano al meglio il loro tempo?

Se l’IPCC fosse strutturato per stimolare una risposta pubblica e politica proporzionata alla portata del problema del cambiamento climatico, i suoi rapporti verrebbero capovolti per partire dal punto di vista dei suoi pubblici. Tali pubblici sarebbero definiti in base alla capacità di realizzare rapidi cambiamenti sociali, tecnologici ed economici. Tra di loro ci sarebbero probabilmente i decisori, ma certamente non solo loro.

Che cosa deve sapere il settore delle costruzioni per creare infrastrutture low-carbon? Come possono fare gli ambientalisti per ottenere informazioni sul cambiamento climatico al fine di formulare progetti di adattamento? Che impatto potrà avere il clima che cambia sui programmi della sanità pubblica per gli anziani?

Non sarebbe facile realizzare tali cambiamenti. D’altra parte, basti pensare a quante ore-uomo sono state dedicate al processo IPCC in quasi 25 anni e a quanto poco entusiasmante è la risposta politica e pubblica. In ultima analisi, i termini dell’IPCC vengono impostati dai governi membri dell’Onu. Ciò significa che è possibile modificarli facendo pressione su chi ne presiede il finanziamento e le procedure.

La collaborazione con partner le cui storie apportano una credibilità culturale al consenso scientifico – voci e gruppi provenienti dal più ampio contesto sociale e politico – potrà rendere viva la scienza dell’IPCC.

Fonte: http://www.theguardian.com/sustainable-business/ipcc-climate-change-science-communication