Società Benefit, poche pubblicano la relazione di impatto (benché ci sia una legge)

28 Lug, 2023 | Focus Italia

Scritta report

Una ricerca dell’Università Roma Tre. Su trasparenza e accessibilità delle informazioni si può fare molto meglio.

Il bene si fa in silenzio? Guardando i risultati di una ricerca recente dell’Università Roma Tre, realizzata dagli studenti del corso Corporate governance e scenari di settore delle imprese della Laurea Magistrale in Economia Aziendale, parrebbe proprio così. Lo studio prende in esame le relazioni di impatto delle Società Benefit italiane, ormai arrivate a quota 3.000 nel nostro Paese. Ebbene, nonostante ogni Società Benefit sia tenuta per legge a rendicontare in un documento dedicato l’impatto generato durante l’anno, moltissime ancora non si sono adeguate. Secondo la ricerca di Roma Tre, su 415 imprese analizzate solo il 37% circa ha pubblicato la Relazione di impatto nel 2021.

Le imprese analizzate

La ricerca prende in esame un campione di aziende costruito a partire dalle 521 imprese iscritte al registro delle Società Benefit a novembre 2022. Da questo gruppo sono state escluse le società risultate inesistenti, in liquidazione, prive di un sito internet oppure diventate Società Benefit nel 2022 (e quindi senza ancora una Relazione di impatto), riducendo così il gruppo d’esame del 20% e arrivando a un totale di 415.

La stragrande maggioranza (63%) non pubblica il documento di rendicontazione, lasciando così in un’area di opacità il proprio agire benefit, senza raccontare all’esterno i progetti benefit seguiti né il raggiungimento delle proprie finalità di beneficio comune (che, ricordiamo, sono inserite direttamente nello statuto dell’azienda). Il rendere conto, elemento centrale per chi si impegna a generare un impatto positivo intorno a sé, va così completamente a disperdersi.

Non solo relazione d’impatto

La ricerca fa un ulteriore passo in avanti e analizza nel dettaglio il metodo di redazione delle relazioni e le modalità di diffusione. Rispetto a quest’ultimo punto, il 45% (69 imprese su 153) carica il documento all’interno delle pagine dedicate alla comunicazione con gli stakeholder esterni sul proprio sito (ad esempio, nella sezione Governance o Sostenibilità), mentre il restante 55% ha creato una sezione apposita per tutte le comunicazioni relative all’essere Benefit. Una scelta, quest’ultima, che rende più accessibili le informazioni. Non si possono, però, certo biasimare le Società Benefit su questo punto: non c’è nessuna chiara indicazione rispetto a dove una Società Benefit debba pubblicare la Relazione di impatto.

Quale metodo per misurare l’impatto?

Il panorama è variegato anche rispetto alla metodologia usata per valutare il proprio impatto. La maggioranza (il 70%) predilige il BIA, il B Impact Assessment, lo strumento sviluppato da B Lab e che rimanda al mondo delle B Corp, spesso usato in combinazione con altri metodi. Il 13% usa i GRI, gli standard della Global Reporting Initiative, punto di riferimento internazionale per la rendicontazione di sostenibilità. Circa il 4% utilizza il Sabi (lo Strumento di Autovalutazione della Buona Impresa), poco più dell’1% la Matrice del Bene Comune (sviluppata dal movimento Economia del Bene Comune). L’11% si rifà ad altri approcci ancora, alcuni “fantasiosi” e poco precisi.

Anche qui, la varietà può stupirci fino a un certo punto. La legge sulle Società Benefit dà alcune indicazioni rispetto allo standard di valutazione esterno da adottare per la relazione d’impatto ma lascia comunque molta libertà. Lo standard deve essere esauriente e articolato nel misurare l’impatto; sviluppato da un soggetto terzo e indipendente; credibile in quanto sviluppato da un ente competente e fondato su un metodo scientifico; trasparente nei suoi criteri di misurazione. La descrizione sulla carta sembra abbastanza precisa. Eppure, le informazioni contenute all’interno delle Relazioni di impatto difficilmente sono comparabili fra loro. In parte è sicuramente dovuto al fatto che le stesse Società Benefit sono difficilmente comparabili tra loro: si va dalla multinazionale alla cooperativa, dalla società tra professionisti alla Srl, comprendendo qualsiasi tipo di settore.

Si può fare meglio

È evidente come nella maggior parte dei casi la Relazione di impatto sia vissuta come un mero obbligo di legge (e anche ben poco rispettato) e non come uno strumento di trasparenza, comunicazione e valorizzazione del proprio operato. Dal team di ricerca arrivano alcuni consigli per migliorare l’attività di rendicontazione.

  • Maggiore accessibilità delle informazioni, rendendo liberamente consultabile la relazione di impatto sul sito internet aziendale (in una pagina che sia facilmente raggiungibile, vedi sotto);
  • maggiore trasparenza e fruibilità delle informazioni, attraverso la costruzione di una sezione dedicata alla Società benefit;
  • maggiore chiarezza nel racconto delle attività svolte dall’azienda, attraverso il confronto tra obiettivi e risultati, anche rispetto all’anno precedente;
  • maggiore comparabilità interna, rendendo accessibili e consultabili tutte le relazioni di impatto dell’azienda, per verificare le evoluzioni di anno in anno e avere visione del percorso nella sua interezza;
  • maggiore comparabilità esterna, utilizzando standard di valutazione autorevoli e condivisi.

Micol Burighel