Stiamo vivendo la tempesta perfetta. Quale ruolo per la comunicazione?

3 Mar, 2022 | Analisi e commenti

Rappresentazione astratta di indicatori ESG

Da un lato i fabbisogni energetici del Paese, dall’altro una situazione internazionale drammatica che rende più difficile e più costoso l’approvvigionamento. Rischiando di lasciare indietro la questione cruciale della crisi climatica. In questo scenario il ruolo della comunicazione è cruciale. Intervista Ferpi a Sergio Vazzoler, comunicatore ambientale (disponibile qui).

La guerra tra Russia e Ucraina ha riportato prepotentemente agli onori della cronaca la questione energetica e della dipendenza italiana dalle importazioni di gas.

Nei giorni scorsi il Premier Draghi ha affermato che potrebbe rendersi “necessaria la riapertura delle centrali a carbone, per colmare eventuali mancanze nell’immediato”. A fronte della ripresa a pieno regime, il Sindaco di Civitavecchia, che ospita la più importante centrale a carbone italiana, si è detto pronto a intervenire per bloccare le attività che impattano notevolmente sull’inquinamento ambientale. Ancora una volta ci troviamo di fronte alla sindrome Nimby. Come uscirne, Sergio?

Innanzitutto in queste ore abbiamo il dovere di pesare i nostri problemi energetici per quello che sono: una criticità tanto reale quanto marginale rispetto al dramma umanitario che investe il popolo ucraino e anche i tanti cittadini russi che subiscono questa sporca e infame guerra fatta di missili, bombe e becera propaganda di regime.

Fatta questa doverosa premessa, ti rispondo come la sindrome Nimby sia per me solo un tassello di una faccenda ben più complessa. Viviamo tutti quanti in una sorta di videogame dove una volta superato un livello di sfida se ne presenta uno successivo decisamente più impegnativo e zeppo di pericoli. In questo momento ci troviamo immersi nella tempesta perfetta che vede il fondersi di due eventi contrapposti: l’urgenza di un cambio di paradigma economico e ambientale non più rinviabile e il ritardo infrastrutturale, tecnologico, normativo, decisionale ma soprattutto culturale che si contrappone al primo evento creando un vortice che rischia di sollevare e far cadere per terra il tessuto sociale del Paese. E il Sindaco di Civitavecchia ha tante buone ragioni quante poche possibilità di fermare la tempesta se non si mette in connessione con altrettante buone ragioni, seppur contrapposte, per cercare soluzioni comuni e innovative al problema.

Cosa può fare la comunicazione per supportare la politica e l’economia in un momento così complesso e delicato?

La comunicazione continua a vivere un paradosso: da una parte tutti la invocano ma, nei fatti, dei tanti attrezzi presenti nella cassetta professionale sono ben pochi quelli identificati, riconosciuti e utilizzati per governare le relazioni – che si presentano sempre più come reticoli fittissimi, intrecciati e sfibrati – e facilitare quei processi che oggi si trovano di fronte a veri e propri bivi. Eppure il ritardo culturale è forse il più pesante e trasversale tra i fattori che si contrappongono alla necessità di intraprendere la strada della transizione ecologica. Che, appunto, in quanto “transizione”, necessita di radicalità nel tenere la barra dritta verso l’obiettivo di neutralità carbonica ma, al contempo, di pianificazione a medio-lungo termine per consentire l’adattamento, prima, e la conversione, poi, verso il nuovo pardigma economico e ambientale.

Un paradigma che necessita di trovare nuove soluzioni, tanto produttive e tecnologiche quanto comportamentali e sociali. Insomma, in una situazione di questo tipo, la comunicazione (quella autentica) rimane il miglior chiavistello a disposizione di istituzioni e mercato per superare il deficit di connessione con i tanti player che devono giocare questa sfida multi-livello: capacità di ascolto e interpretazione, facilitazione e reale coinvolgimento sono gli strumenti migliori per recuperare fiducia e stringere un patto di responsabilità finalizzato a scegliere di bivio in bivio.

Qualche giorno fa, Gianni del Vecchio scriveva sull’Huffington Post che Putin “ha fatto fuori Greta”, dando “un colpo quasi mortale alle battaglie ambientaliste del mondo occidentale e delle future generazioni per come le abbiamo conosciute finora”. Che ne pensi? Davvero dobbiamo rassegnarci a soccombere alle esigenze dell’urgenza, dimenticandoci che il pianeta non può più attendere?

Le scorciatoie linguistiche e retoriche non mi hanno mai appassionato perché rischiano di strappare un applauso senza risolvere il problema. Ci ricordiamo tutti quanti come all’arrivo della pandemia si dava per scontata la ferita mortale alla sostenibilità: a due anni di distanza assistiamo all’esatto opposto dove il rumore intorno a questo termine si fa talmente assordante da doversi dotare persino di manuali anti-greenwashing per discernere tra impegni reali e claim inconsistenti. Certo, la guerra non farà altro che alimentare il vortice della tempesta e le conseguenze non potranno essere evitate. Ci saranno battute d’arresto e ripensamenti ma non sono affatto convinto che questo comporterà l’interruzione di un processo che, nel frattempo, ha portato i temi di Greta nelle agende dei grandi fondi d’investimento.

 

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