Mettete fiori nei vostri cannoni” recitava una nota canzone degli anni ’60, divenuta poi slogan del movimento pacifista. A distanza di tanti anni le guerre restano, ma cambiano i modi per non soccombere ad esse. Ger Dempsey è il fondatore e CEO di Silicon Peace, una startup che attraverso la tecnologia aiuta i paesi interessati da conflitti a risollevarsi e ripartire, da un punto di vista economico e sociale.   Cos’è Silicon Peace? Silicon Peace è una startup tecnologica la cui missione è portare la tecnologia e lavori di outsourcing alle zone di guerra. Noi forniamo i nostri servizi come fanno le altre imprese di outsourcing come ad esempio Accenture, Wipro, Capgemini, Tata Consulting, ecc. Ma invece di fornirli da paesi come India e Filippine, operiamo da paesi come Palestina, Afghanistan e Libano. In questo modo contribuiamo a portare un po’ di quella stabilità di cui tali regioni hanno tanto bisogno e aiutiamo le comunità a liberarsi dalle catene della povertà create dai conflitti e dalle guerre. Vorremmo conoscere qualcosa di più su di lei: qual è il suo percorso? Dove nasce l’idea di portare il suo business in mezzo alla guerra? Ho lavorato come Risk Manager nel settore tecnologico e dell’outsourcing, dov’ero responsabile di progetti per la localizzazione di centinaia di posti di lavoro in paesi come Polonia e India. E’ opinione diffusa che le attività di outsourcing offrono enormi benefici alle regioni svantaggiate, anzi molti paesi con un settore di outsourcing attivo hanno sperimentato un importante sviluppo economico. Durante la guerra a Gaza nel 2014 leggevo del modo in cui gli studenti affrontavano il conflitto. Mi sorprese il fatto che là le università sfornano oltre 1000 laureati informatici ogni anno, e che la loro qualità è altissima. Guardai altri Paesi colpiti da conflitti e constatai il fatto che le università locali hanno sviluppato corsi tecnologici eccellenti e che migliaia di ottimi studenti informatici si laureano tutti gli anni. Purtroppo le imprese tendono a trascurare le opportunità in queste regioni, per cui la disoccupazione tra i laureati informatici è altissima, e i ragazzi non hanno la possibilità di sviluppare una carriera nella loro professione. D’altra parte le imprese e le organizzazioni nei paesi sviluppati hanno grandi difficoltà a trovare sviluppatori informatici e quindi l’idea di Silicon Peace si dimostrò una soluzione ovvia a un problema che continua. Silicon Peace sembra assolvere anche un compito sociale: offrire nuove opportunità in regioni del mondo particolarmente svantaggiate. Quanto c’è di filantropico in tutto questo? Anche se siamo un’impresa commerciale, Silicon Peace ha un forte obiettivo sociale e stiamo contribuendo a risolvere diversi problemi sociali con la tecnologia e l’innovazione. Lavoriamo in partnership con numerose organizzazioni per gestire problematiche sociali soprattutto nel campo dell’istruzione e dell’alfabetizzazione digitale. Tra poco avvieremo il primo CoderDojo palestinese che offre ai ragazzi tra i 7 e i 17 anni un’istruzione gratuita nella programmazione e stiamo lanciando un progetto UpSkill che darà loro opportunità formative e di collocamento per aggiornare e migliorare le loro competenze informatiche. Continueremo a sviluppare le nostre iniziative sociali e siamo sempre alla ricerca di partner strategici per cambiare, insieme, il mondo. Abbiamo letto che presto aprirete due nuovi centri in Afghanistan. Ci racconta qualcosa di più? In ogni regione di conflitto, è importante che Silicon Peace lavori con un partner locale che offra tutte quelle conoscenze, collegamenti e infrastrutture locali che sono così importanti. A Gaza lavoriamo in partnership con l’agenzia Onu Relief and Works e sul West Bank collaboriamo con una piccola impresa di business process outsourcing. In Afghanistan lavoriamo con Afghan Citadel, una piccola società tecnologica diretta da una formidabile businesswoman afghana di nome Roya Mahboob. Roya appare sulla classifica del Times delle 100 persone più importanti al mondo, e in quanto membro del comitato consultivo di Silicon Peace è la persona ideale per promuovere le nostre attività in Afghanistan. Tra poco inizieremo a fornire servizi da un centro di Herat e da uno a Kabul: siamo fiduciosi che le capacità dei team tecnologici saranno allineate con i migliori livelli di qualità. Amapola si occupa di comunicare sostenibilità e CSR: cosa significano per lei questi due termini? E quale coniugazione trovano nella sua Silicon Peace? Come conseguenza del nostro forte impegno sociale, i nostri valori e la nostra cultura, Silicon Peace è naturalmente allineata con gli obiettivi delle direzioni aziendali CSR. La nostra dedizione alla creazione di un mondo sostenibile, libero da conflitti, fa dei responsabili di CSR e di Sostenibilità i testimonial ideali di Silicon Peace all’interno delle proprie imprese e infatti siamo regolarmente in contatto con tantissime persone di grande valore nella comunità CSR. Silicon Peace è ancora in fase di startup, eppure abbiamo già ricevuto molto sostegno da responsabili CSR in tutto il mondo, e personalmente mi piace relazionarmi con persone che condividono la mia stessa passione e lo stesso entusiasmo per questa sfida così importante. Un’ultima domanda: c’è un’esperienza postbellica che l’ha più coinvolta dal punto di vista umano? Anche come osservatore periferico è impossibile non essere scossi dagli orrori della guerra. Ma questo non è niente rispetto al fatto che milioni di bambini e adulti innocenti nel mondo devono convivere con tali orrori ogni giorno e molti non hanno una via di fuga dall’incubo. Anche chi ha la fortuna di fuggire finisce in situazioni terribili di povertà, isolamento e discriminazione. Questo si vede in ogni Paese martoriato dalla guerra. Tutti gli stakeholder del nostro pianeta devono fare di più per sradicare questo problema, e le organizzazioni commerciali devono accettare il fatto che hanno un importantissimo ruolo da svolgere.]]>