Giornata Mondiale dell’Acqua, tre consigli per comunicare al meglio la sostenibilità nel settore idrico
Spunti dal decalogo della comunicazione ambientale per costruire una relazione aperta e trasparente con i tuoi interlocutori
Le imprese che gestiscono un bene primario come l’acqua possono e devono impegnarsi nelle due dimensioni della sostenibilità: quella del fare e quella del far sapere per coltivare consapevolezza e dialogo. Comunicare la sostenibilità in maniera attenta, trasparente, corretta, strategica, consapevole, può fare davvero la differenza nel settore idrico, mettendo le aziende in contatto con i cittadini, migliorandone immagine e reputazione e supportandole nella creazione di relazioni autentiche e positive con la comunità e il territorio. Soprattutto oggi, in un momento storico in cui la sostenibilità si conferma un valore imprescindibile per tutte le imprese.
Come diffondere consapevolezza su questi temi e contribuire al raggiungimento degli sfidanti obiettivi della transizione ecologica? Come emergere dal rumore di fondo e far conoscere il proprio impegno? Dal decalogo della comunicazione ambientale di Amapola, tre buone pratiche per comunicare al meglio la sostenibilità nel settore idrico.
1. Se non parli ti cancello
Sembra una banalità ma il primo consiglio è proprio comunicare: le attività di valorizzazione non vanno intese come “spottoni promozionali” ma come strumenti che possono davvero far vivere la sostenibilità di un’organizzazione. I player del comparto idrico, per la natura del servizio che offrono, sono intimamente legati a molti dei temi di sostenibilità (ambiente, sviluppo del territorio, relazioni con le comunità locali, processi di economia circolare, spinte verso l’innovazione sostenibile e responsabile), al punto che potremmo dire che la responsabilità sociale e ambientale è parte integrante del loro DNA.
Non comunicare su questi temi significa di fatto rinunciare a una parte della propria identità. Inoltre, non raccontare il proprio percorso, anche se imperfetto, trasmette messaggi molto pericolosi: che i temi di sostenibilità, in fondo, non ci riguardano; che il nostro contributo, nella grande sfida della transizione ecologica e sostenibile, è poco o nullo; e ancora, che dietro al nostro silenzio si cela un agire tutt’altro che responsabile.
Consapevoli e sostenibili
Parlare di obiettivi e risultati di sostenibilità, diffondere consapevolezza, raccontare il proprio impegno non ha una caduta positiva solo su immagine e reputazione dell’azienda ma contribuisce a costruire una cultura della sostenibilità collettiva. E proprio su quest’ultimo aspetto è necessario un particolare sforzo. Un piccolo esempio: l’Italia è il primo Paese in Europa per consumo di acqua in bottiglia (la maggior parte in plastica) e il secondo al mondo dopo il Messico, con 222 litri pro capite all’anno.
Non solo, un recente rapporto Ismea racconta come in dieci anni (2009-2019) il consumo non sia andato diminuendo, come ci si potrebbe aspettare dalla centralità crescente dei temi di sostenibilità, ma è addirittura raddoppiato. Questi dati fanno emergere questioni annose per le sfide dello sviluppo sostenibile: la necessità di diminuire l’usa e getta (invece di rendere il packaging “più sostenibile” e continuare a moltiplicarlo) e allo stesso tempo l’urgenza di ridurre il consumo di plastica.
Come incidere su questi comportamenti? Queste scelte sono – in parte – figlie di pregiudizi e convinzioni errate legate al settore idrico e alla cosiddetta acqua del sindaco. Secondo un report Istat dell’anno scorso, nel 2020 il 28,4% delle famiglie esprimeva ancora poca fiducia nel bere acqua di rubinetto. Eppure, la qualità dell’acqua pubblica in Italia è buona, lo conferma anche Altroconsumo. Che questa sfiducia nasca anche da poca conoscenza e da una scarsa disponibilità di informazioni? I pregiudizi e gli stereotipi si combattono facendo divulgazione. E il settore idrico, se vuole davvero incidere sui temi di sostenibilità, non dovrebbe sottovalutare questo aspetto.
2. Il difficile è farla semplice
I temi ambientali e di sostenibilità sono spesso difficili e tecnici, richiedono conoscenza della materia e una certa confidenza con i numeri. E il settore idrico, con le sue tecnologie e i suoi procedimenti spesso complessi, il suo rapporto inevitabilmente stretto con la misurazione e l’analisi dei dati, non fa eccezione. Attenzione, i dati sono il fondamento di una comunicazione trasparente e onesta. Spesso, però, ci si dimentica che il loro valore comunicativo è strettamente legato alla nostra capacità di comprenderli.
Ad esempio, una famiglia italiana consuma in un anno circa 120-150 metri cubi di acqua all’anno. Questa informazione per una persona che non conosce la materia non ha alcun significato: è tanto? È poco? Insomma, come si chiede nel suo libro Andrew C.A. Elliott, statistico, «È grande questo numero?». (Sì, è grande, siamo i primi in Europa e tra i primi al mondo). In che modo agevolare la comprensione di questo dato? Dando informazioni di contesto, fornendo altri dati a paragone oppure spiegandolo con un riferimento concreto e alla portata di tutti (quante piscine si riempiono con la stessa quantità d’acqua?).
I numeri sono l’esempio più lampante, ma una comunicazione efficace – della sostenibilità ma non solo – passa anche da un linguaggio semplice, chiarificatore, emendato da tecnicismi e acronimi per soli addetti ai lavori. Solo così è possibile creare vicinanza e motivazione. Perché comunicare significa mettere in comune, accorciare le distanze e trovare un terreno di comprensione – e spesso compromesso – condiviso. E se non parliamo la stessa lingua, tutto questo è molto più difficile da ottenere.
3. Lavami ma senza bagnarmi
Infine, la regola aurea per comunicare la sostenibilità nel settore idrico: al centro di tutto deve sempre esserci il dialogo. Con i territori, con le comunità, con il cittadino-consumatore, con i propri dipendenti. La relazione con questi interlocutori si costruisce nel tempo, attraverso il dialogo e l’ascolto attivo, l’ingaggio e il coinvolgimento. La comunicazione unidirezionale è bandita, soprattutto nell’epoca dei social media e del web, in cui l’opinione pubblica è diventata un coacervo di voci e opinioni a cui (quasi) tutti possono partecipare.
Da una parte è importante allenarsi al dialogo perché sottrarsi al confronto non è possibile – o comunque non è possibile farlo a lungo, prima o poi la pentola a pressione ci scoppierà tra le mani. D’altra parte, solo a persone ascoltate e prese sul serio è possibile chiedere un cambio di passo. E qui torniamo un po’ ad alcuni concetti del nostro primo punto. Se davvero vogliamo sostenere un modello di società più sostenibile, dovremo convincere le persone ad assumere comportamenti a volte faticosi e destabilizzanti.
Dialogo, ascolto, coinvolgimento
Non è semplice. Molte ricerche (fra le ultime il rapporto Coop 2021 sull’economia, i consumi e gli stili di vita degli italiani che si affacciano sul 2022) dimostrano che esiste ancora una profonda crepa tra ciò che le persone pensano sia giusto fare in termini di sostenibilità e quello che di fatto sono disposte a fare. Avremo successo nella nostra richiesta di cambiamento solo se saremo stati in grado di costruire nel tempo una relazione aperta, trasparente e autentica basata sulla fiducia e il dialogo.
Un percorso di comunicazione fondato sull’ascolto, la facilitazione e il coinvolgimento attivo fa proprio questo. E per le utilities idriche il dialogo con gli stakeholder può diventare il motore della propria strategia di sostenibilità. Creare sinergie, valutare insieme soluzioni sempre più sostenibili e all’avanguardia, condividere conoscenza, strumenti e risorse permette di offrire un servizio migliore, calibrato sulle specifiche esigenze del territorio e della comunità. Efficienza e sostenibilità, in questo modo, possono procedere di pari passo. Cosa non da poco.
Leggi qui i tre capitoli del decalogo: