Parlamento e Consiglio UE approvano la direttiva sul reporting di sostenibilità
Una nuova sfida per grandi, piccole e medie imprese. Il consiglio è partire in anticipo, per “allenarsi” alle novità di metodo introdotte dalla Direttiva, metabolizzarle e integrarle nel proprio modello di reporting.
Habemus Direttiva! Giovedì 10 novembre 2022 il Parlamento europeo ha finalmente adottato con 525 voti favorevoli, 60 contrari e 28 astenuti la CSRD ‒ Corporate Sustainability Reporting Directive, ossia la nuova direttiva sul reporting di sostenibilità. L’iter di adozione, iniziato ad aprile 2021 con la prima presentazione della proposta, si sta finalizzando in questi giorni. Il 28 novembre anche il Consiglio UE ha approvato in via definitiva la Direttiva e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea è prevista a breve. Venti giorni dopo, la Direttiva entrerà ufficialmente in vigore.
L’Europa decide così di dare un giro di vite alla rendicontazione di sostenibilità, incrementando la trasparenza del sistema e garantendo a cittadini, investitori e società finanziarie l’accesso a dati affidabili e comparabili tra loro. Tanti i cambiamenti rispetto alla precedente norma del 2014, la NFRD, la Non-Financial Reporting Directive, finora l’unico testo di riferimento anche in Italia, dove è stata adottata con il Decreto Legislativo 254/2016. La prima differenza sostanziale si trova già nel nome stesso della direttiva: dall’accezione, che potrebbe avere un effetto sminuente, di reporting non finanziario si passa finalmente alla definizione di reporting di sostenibilità. Ed è già tutta un’altra impostazione mentale.
Saranno più di 50mila le imprese tenute a rendicontare in tutta Europa (e oltre)
Un’altra grande differenza rispetto al passato riguarda la platea delle realtà obbligate per legge a rendicontare. Dalle attuali 11.700 si passa gradualmente a oltre 50mila imprese e organizzazioni, di cui tra le 5 e le 7mila saranno nel nostro Paese. Prima rientravano nel perimetro della norma solo gli enti di interesse pubblico con più di 500 dipendenti – cioè quotate, banche, assicurazioni e altre realtà identificate dalle autorità nazionali. Ora saranno interessate dalla nuova direttiva europea sul reporting di sostenibilità:
- le società di grandi dimensioni (ovvero quelle che superano almeno due dei tre criteri seguenti: 1. attivo di stato patrimoniale superiore a 20 milioni di euro; 2. ricavi netti superiore a 40 milioni di euro; più di 250 dipendenti nell’anno finanziario).
- Le società quotate sui mercati regolamentati dell’Unione Europea (ad eccezione delle microimprese[1])
- Le società extra-UE che generano un fatturato netto di 150 milioni di euro nell’Unione Europea e che hanno almeno una filiale o una succursale in Europa.
Anche le Pmi quotate in Borsa, della cui esclusione si era inizialmente parlato, saranno assoggettate alla Direttiva, anche se con tempi dilazionati e standard ad hoc. E, se vogliamo davvero analizzare la portata di questo cambiamento normativo, dovremo tenere in considerazione un altro elemento: la normativa, di fatto, toccherà un numero ancora maggiore di realtà che rientrano nella supply chain delle aziende coinvolte. Se sempre più i big player dovranno rendicontare con attenzione le performance ambientali e sociali, le piccole imprese che fanno parte della loro catena del valore dovranno prepararsi per fornire i dati relativi a questi ambiti. E, in parte, questa evoluzione è già in atto.
Le tempistiche della nuova direttiva europea sul reporting di sostenibilità
Rispetto alle previsioni iniziali, sono state modificate le tempistiche riguardanti le fasi di applicazione della Direttiva per rendere l’approccio più graduale. Restano scaglionate in gruppi.
- Partono con le nuove disposizioni dal 1° gennaio 2024 le imprese che rientravano nella precedente direttiva sulla rendicontazione non-finanziaria. La data fa riferimento alla prima raccolta di dati con riferimento alla nuova direttiva (quindi, in soldoni, queste imprese a partire dal 2024 raccoglieranno i dati ESG secondo quanto previsto dalla Direttiva per pubblicare l’anno successivo, il 2025, il report di sostenibilità in linea le nuove disposizioni).
- Seguono dal 1° gennaio 2025, tutte le grandi società che non erano precedentemente obbligate a rendicontare ma che rientrano nel nuovo perimetro stabilito dalla CSRD.
- Dal 1° gennaio 2026 è la volta delle Pmi quotate, istituti di credito di piccole dimensioni e on complessi e imprese di assicurazione “captive”[2]. Gli standard di rendicontazione per questo gruppo saranno semplificati: il Parlamento li emanerà in un secondo momento. Inoltre, le realtà che rientrano in questa fascia avranno la possibilità di non applicare la nuova normativa (“opt-out option”) per due anni (cioè fino al 1° gennaio 2028), a patto che spieghino perché l’impresa ha deciso di avvalersi di tale opzione. Dal 2028 in poi non potranno più esimersi.
- Con il 2029 (e quindi in riferimento all’esercizio 2028) partiranno le imprese di Paesi terzi.
Come cambia la rendicontazione
La nuova CSRD prevede requisiti di reporting più dettagliati, allineati alla Tassonomia europea e alla Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR – un insieme di regole sull’informativa di sostenibilità dei servizi finanziari). Inoltre, nell’ottica di un metodo sempre più stringente e di un’armonizzazione dei documenti di rendicontazione, i report saranno soggetti alla limited assurance, avranno l’obbligo di adottare i nuovi European Sustainability Reporting Standards (ESRS) e dovranno essere resi disponibili anche in formato digitale (XHTML), con “tag” ESG specifici sui criteri tassonomici comunitari.
Non finisce qui: con la nuova direttiva, l’approccio al reporting diventa più sistematico, integrato alla strategia e al business, completo. Le informazioni di sostenibilità dovranno avere natura quantitativa e qualitativa (narrativa – e quindi comunicativa!). L’approccio dovrà essere retrospettivo (raccontare e rendicontare quanto fatto nell’anno passato) ma anche prospettico (forward-looking), con riferimento a piani e obiettivi futuri. Soprattutto, i target ambientali dichiarati dovranno collocarsi in una prospettiva di medio-lungo termine, con evidenza dei piani di transizione, delle azioni di implementazione e dei piani di finanziamento e investimento – in linea con l’Accordo di Parigi e lo European Green Deal.
La materialità
Inoltre, la Direttiva rivisita e dà nuova profondità ai temi di materialità con l’introduzione del concetto di doppia materialità. Cosa significa? Che le aziende dovranno rendicontare come i problemi di sostenibilità influenzano la loro attività dal punto di vista finanziario e come impattano, dall’altra parte, sulle persone e sull’ambiente. Ad esempio, una società dovrà rendicontare sia come il tema del cambiamento climatico impatta sulla sua attività (costi, rischi, adattamento delle infrastrutture, cambi nella logistica, ecc.) sia come le azioni della società impattano sul cambiamento climatico (a livello di emissioni, riutilizzo della materia, ecc.).
Gli standard di rendicontazione
Per quanto riguarda gli standard di rendicontazione europei ESRS, se ne occuperà lo European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG). Le nuove metriche saranno adottate dalla Commissione UE con due atti delegati. Nel dettaglio:
- entro il 30 giugno 2023, è prevista una prima serie di norme di rendicontazione relative alle informazioni che le imprese dovrebbero divulgare in merito a tutti i settori di rendicontazione e agli ambiti di sostenibilità e che devono essere rispettati dagli operatori dei mercati finanziari al fine di ottemperare agli obblighi di informativa previsti dal Regolamento 2019/2088 (la famosa SFDR già citata).
- entro il 30 giugno 2024 è prevista l’adozione di una seconda serie di standard con parametri settoriali.
Non è stato ancora specificato entro quando si avvierà l’elaborazione di standard dedicati alle PMI.
L’approccio
Gli standard saranno in ottica multi-stakeholder e terranno conto dei principi e dei quadri riconosciuti a livello internazionale sull’etica d’impresa, la responsabilità sociale e lo sviluppo sostenibile (es. Principi Guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani, ISO 26000, ecc.). Inoltre, saranno elaborati a partire da una cornice di riferimento basata su tre livelli di rendicontazione (sector agnostic – generici, sector specific – settoriali, entity specific), quattro aree di rendicontazione (strategy, governance, impact, risk and opportunity management, metrics & targets) e tre temi (environmental, social, governance). Un quadro complesso che andrà approcciato con la dovuta attenzione dalle imprese e studiato nella sua applicazione concreta.
Partire in anticipo permetterà di esercitarsi prima dell’effettiva applicazione della Direttiva, prendendo confidenza con il nuovo framework e trovando la chiave giusta per declinarlo sulla propria realtà.
[1] Le microimprese sono imprese che alla data di chiusura del bilancio non superano i limiti di almeno due dei tre criteri seguenti: a) totale di bilancio: 350mila euro; b) fatturato netto: 700mila euro; c) numero medio di 10 dipendenti durante l’esercizio.
[2] Le società captive sono società di assicurazione o di riassicurazione create dalla società capogruppo per assicurare i propri rischi.