Zero emissioni, tante promesse e pochi fatti nelle politiche di 25 grandi aziende
Un nuovo studio rivela come spesso i piani “Net Zero” siano in realtà molto lontani dall’azzerare le emissioni
Attenzione alle dichiarazioni di “emissioni nette zero” oppure di “neutralità carbonica” delle aziende, molto spesso si allontanano dalla realtà. Lo rivela il Corporate Climate Responsibility Monitor 2022, condotto dal Newclimate Institute in collaborazione con Carbon Market Watch. Il report ha messo sotto la lente d’ingrandimento le strategie climatiche – e i relativi obiettivi – di 25 grandi gruppi internazionali impegnati verso zero emissioni. I risultati non sono dei migliori. Secondo lo studio, gli obiettivi Net Zero delle organizzazioni prevedono una riduzione delle emissioni in media del 40% e non del 100% come ci si aspetterebbe dalle dichiarazioni di queste imprese.
Quando le zero emissioni non sono davvero a zero
Le 25 aziende prese in esame dallo studio sono responsabili di circa il 5% delle emissioni globali di gas a effetto serra. Parliamo di 2,7 miliardi di tonnellate equivalenti di CO2 nel 2019. I numeri parlano chiaro. Queste multinazionali con le loro azioni potrebbero contribuire in maniera davvero significativa e impattante alla lotta al cambiamento climatico. E, sulla carta, tutti i grandi gruppi analizzati nel report si impegnano in qualche modo a un obiettivo di zero emissioni relativamente a uno specifico anno di riferimento in un range che va dal 2025 al 2050.
Guardando da vicino…
Purtroppo, però, nella maggior parte dei casi le strategie di carbon neutrality annunciate non corrispondono ad azioni e piani di riduzione coerenti. Tra le venticinque società esaminate solo tre (Maersk, Vodafone e Deutsche Telekom) si impegnano in modo chiaro a una decarbonizzazione profonda di oltre il 90% delle loro emissioni lungo tutta la catena del valore. Cinque aziende su venticinque si impegnano a ridurre le proprie emissioni solo di meno del 15%, spesso senza tenere conto delle emissioni “indirette”, che si generano a monte o a valle dell’attività dell’azienda e che sono legate alla supply chain.
Tredici aziende forniscono informazioni più approfondite sul significato dei loro impegni attraverso l’indicazione di azioni concrete. Nonostante lo sforzo di trasparenza, questo gruppo in realtà si impegna in media a una riduzione del 40% delle proprie emissioni, se si tiene in considerazione tutta la catena del valore. Infine, ci sono ben dodici aziende (di fatto la metà) che non accompagnano i loro obiettivi di emissione zero con nessun impegno specifico di riduzione delle emissioni in relazione a un anno “target”.
In generale, secondo queste premesse le multinazionali esaminate nel 2030 avranno ridotto la loro impronta carbonica solo del 23% rispetto al 2019 (2,7 miliardi di tonnellate equivalenti di CO2, ricordiamo). “Solo” mezzo miliardo di tonnellate equivalenti di CO2, un risultato che si distanzia molto dagli obiettivi ambiziosi e sfidanti dell’Accordo di Parigi.
Integrità e trasparenza, compensazione e riduzione
All’interno della ricerca, ogni grande impresa ha ottenuto un punteggio in merito a integrità (ossia coerenza tra promesse e obiettivi) e trasparenza. Per valutare questi ambiti, sono stati presi in considerazione gli obiettivi climatici, la quantità e l’affidabilità delle attività di compensazione, oltre che i progressi nella riduzione delle proprie emissioni e la trasparenza nell’individuazione degli obiettivi e nella rendicontazione aziendale.
Qui sotto la panoramica delle aziende valutate e dei relativi punteggi.
Il report, oltre a mettere sotto accusa le dichiarazioni non sostanziate e le esagerazioni nei claim delle venticinque aziende, ha acceso i riflettori sull’abbondante ricorso a forme di compensazione, preferite rispetto a effettive misure di riduzione. Una attività controversa sulla cui reale efficacia ancora si discute. La maggioranza delle aziende (diciannove su venticinque), infatti, programma di fare ricorso in futuro ad attività di compensazione e solo una tra tutte le aziende ha una strategia climatica che non comprende queste azioni. Inoltre, circa due terzi delle imprese sceglie come forme di compensazione la piantumazione di alberi e altre attività biologiche. Azioni, sottolinea il report, poco definitive che possono anche essere facilmente invertite (si pensi ad esempio al caso di un incendio boschivo).
Un altro punto dolente quando si parla di zero emissioni: le emissioni di Scope 3
Quando si parla di emissioni di Scope 1, 2 e 3 si fa riferimento alla suddivisione fatta dal Greenhouse Gas Protocol, punto di riferimento internazionale per misurare e gestire le emissioni di gas serra. Nello specifico:
- Primo gruppo, scope 1: sono le emissioni dirette generate dall’azienda, la cui fonte è di proprietà o controllata dall’azienda.
- Secondo gruppo, scope 2: le emissioni indirette generate dall’energia acquistata e consumata dalla società.
- Terzo gruppo, scope 3: rientrano qui tutte le altre emissioni indirette che vengono generate dalla catena del valore dell’azienda.
Proprio sull’ultima categoria il report del NewClimate Institute ha rilevato particolari mancanze. Molto spesso queste emissioni vengono lasciate fuori dalla misurazione e non rientrano nei piani di riduzione. Solo otto delle società prese in esame hanno mostrato un livello moderato di dettaglio sui loro piani per affrontare tali emissioni. Problema non da poco, se si considera che le emissioni di Scope 3 incidono per l’87% sull’impronta carbonica totale delle venticinque società.
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